03 - Apr - 2020
Domenica delle Palme
(Is 50,4-7 Sal 21 Fil 2,6-11 Mt 26,14- 27,66)
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
La settimana santa inizia con questa strana domenica in cui due Vangeli ci introducono agli ultimi giorni della vita del Signore: un Vangelo che parla di esaltazione (l’accoglienza festosa di Gesù a Gerusalemme da parte delle folle) e un Vangelo che parla del tradimento, della umiliazione e della morte di lui.
Sono due Vangeli che funzionano come una lama a doppio taglio che scende giù nel cuore di ciascuno di noi per vedere se esaltiamo Gesù per comodo (per sentirci bravi, per sentirci protetti, per rassicurare la nostra identità culturale, per paura del mondo che cambia, per avere potere su altri o metterci in mostra), oppure se lo esaltiamo, se lo amiamo per ciò che lui ha vissuto e scelto, cioè la condizione di servo e la morte di croce (come ci dice la lettera ai Filippesi) nella certezza dell’amore del Padre che non l’avrebbe lasciato nella morte (realizzando così le parole del profeta Isaia che leggiamo nella prima lettura: il Signore mi ha aperto l’orecchio e non ho opposto resistenza; il Signore mi assiste per questo non resto svergognato).
Lasciamo che questi due Vangeli calino la lama e aprano la nostra interiorità, rivelandoci perché cerchiamo Gesù, perché lo stiamo seguendo, perché vogliamo celebrare questa Pasqua. Siamo arrivati al momento in cui Gesù del tutto ingiustamente viene messo a morte. Matteo ha riportato poco prima la parabola dei vignaioli omicidi rivelandoci l’intenzione del Padre che mandando il Figlio nel mondo dice, nonostante tanti profeti siano già stati uccisi dal popolo: “risparmieranno mio figlio”. Ma la speranza di Dio va delusa e tutti gli eventi congiurano contro Gesù: tradimenti degli amici, ingiustizia dei capi religiosi, vigliaccheria dei potenti, ottusità dei soldati e delle folle. Nessuno fa niente per salvare Gesù, se non la moglie di Pilato, che dopo un sogno manda a dire al marito di non avere niente a che fare con questo giusto. Andiamo anche noi in mezzo alla folla e immedesimiamoci nei discepoli, perché anche noi siamo dei suoi. Sembra che tutto ciò in cui abbiamo sperato finisca. Gesù ora non compie miracoli e non insegna più nulla, ma lo vediamo mite pregare il Padre, perché se questo calice non può passare sia fatta la volontà di lui, cioè: se proprio deve passare per la croce, che Dio faccia ciò che vuole, ovvero lo riporti alla vita. Forse ci viene da dormire (per il disinteresse o la tristezza) come ai tre discepoli: che Signore è questo che non scansa la morte e che subisce l’ingiustizia fino a morirne? Questo è il momento in cui lui vuole essere scelto per quello che è: per il suo essere rivolto a Dio, come il Figlio amato, e niente altro. Qui rivela il mistero di Dio, vita d’amore condivisa, e il mistero dell’uomo, che può vivere solo in Dio.
Riviviamo questi eventi: chi siamo? Forse Giuda, pronto a tradire per un vantaggio concreto e pronto ad accorgersi di aver sbagliato, ma troppo tardi: ormai si può solo ripagare con la vita il sangue sparso, per cui si impicca. Oppure Pietro, facili a parlare di fedeltà e di sequela, quanto a rinnegare spergiurando e imprecando (per finire in un piano amaro) se essere riconosciuti di quelli di Gesù (o vivere la sua logica) ci dovesse essere di minaccia. Oppure siamo Pilato e sappiamo ciò che è giusto, ma ci approfittiamo di regole e ruoli che ci permettono di salvare la faccia mentre compiamo l’ingiustizia (continuando a pensare di aver fatto il nostro dovere). Oppure forse siamo i soldati, che infieriscono sul corpo sofferente e impotente di Gesù, come accade quando la nostra ricchezza impoverisce altri e distrugge l’ambiente, come quando pensiamo che i nostri morti valgano di più di quelli che la povertà e le guerre causano. Oppure, possiamo essere come la madre dei figli di Zebedeo, che non dorme né fugge come i propri figli, ma sta ferma sotto la croce insieme alle altre discepole. Lei, che Matteo ci aveva presentato al capitolo 20 mentre chiedeva la gloria per i propri figli, al seguito di Gesù eppure attratta dall’esaltazione e dai vantaggi (come le folle che acclamano Gesù a Gerusalemme), ora è davanti alla croce: non rinnega, non tradisce, non fugge. Beve fino in fondo il calice di Gesù, sperando forse come lui o per lui, che grida dalla croce il salmo dell’abbandonato da Dio, nella potenza d’amore del Padre che non lo abbandonerà nella morte. Lei sa che Dio lo ama e forse lo sguardo di lei, da lontano, mantiene anche Gesù nella speranza. La stessa speranza folle, forse, di Maria di Magdala e dell’altra Maria che si siedono davanti al sepolcro ormai chiuso, sfinite, incredule, oppure in attesa nemmeno loro sanno di cosa.
Siamo arrivati sotto la croce: che cosa cerchiamo da quest’uomo morente e che cosa riusciamo a vedere?