01 - Gen - 2020
II Domenica dopo Natale
(Sir 24,1-4.12-16 Sal 147 Ef 1,3-6.15-18 Gv 1,1-18)
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
La liturgia di questa domenica sembra quasi riprendere fiato. Fra tante feste e solennità viene offerta una pausa per rimeditare il mistero che ci è stato messo di fronte agli occhi. Ritroviamo così il Vangelo proclamato nel giorno di Natale, il prologo del Vangelo di Giovanni, ma stavolta la prima lettura ci offre una chiave diversa per ricomprenderlo.
La lettura tratta dal Siracide, infatti, ci presenta la Sapienza, una figura dell’Antico testamento che non viene identificata con Dio, ma che allo stesso tempo è legata a lui in modo tale da renderlo presente ovunque essa è. Viene rappresentata come la figlia che gioca davanti a Dio mentre questo crea il mondo, come l’amica intima che conosce i suoi segreti, come la donna che imbandisce un banchetto in cui tutti possono nutrirsi della vita e della giustizia che viene da Dio. Ella trova la propria gloria solo in Dio, cioè vive di lui e per lui ed è così vicina a lui da rifletterne il volto. Nel brano del Siracide che leggiamo questa domenica ci viene presentata, inoltre, come come colei che pianta le tende per prendere dimora proprio in mezzo al popolo a cui Dio la manda.
Dopo gli avvenimenti della vita di Cristo il brano del Vangelo di Giovanni riscrive questa fede in altro modo: la Sapienza che sta davanti a Dio da sempre, che è rivolta verso di lui e che era presente alla creazione del mondo, viene chiamata Logos (Parola di Dio, il suo pensiero, ciò che ha di più intimo) e Figlio (altro da Dio eppure una cosa sola con lui, dentro di lui, come un figlio nel grembo materno). L’annuncio straordinario è che questa Sapienza (o Figlio) non dimora in mezzo agli uomini solo istruendoli tramite la legge e la vita santa (come comprendeva Israele), ma dimora corporalmente in mezzo agli esseri umani: la Sapienza di Dio ha preso la nostra carne, ha vissuto una vita umana.
Lo straordinario rapporto che ha con Dio (unico, per questo è il Figlio unigenito) ora non è più nascosto: nella vicenda di Gesù contempliamo l’amore che Padre e Figlio condividono e, poiché questo accade in una vita umana come la nostra, ci viene data la possibilità di vedere (ecco perché tanti riferimenti alla luce che viene nel mondo) come vivere anche noi una tale intimità con Dio.
La fede in Cristo ci dà infatti il potere di diventare figli di Dio. Nella lettera agli Efesini leggiamo che siamo “figli adottivi”, non abbiamo cioè “per nascita” l’intimità unica che ha con Dio il Figlio/Sapienza, ma ci viene donata. Ci troviamo così dentro la vita stessa di Dio (come un figlio adottato si trova a condividere la casa e la vita di chi lo adotta): santi e immacolati nella carità. Facciamo nostra allora la preghiera che chiude la seconda lettura: Dio ci doni lo spirito di sapienza che ci apra gli occhi del cuore per comprendere – dentro le fatiche a volte improbe e nell’ordinario oscuro scorrere dei giorni – a quale speranza siamo chiamati e quale tesoro sia l’eredità che ha preparato per noi.
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuore, dall’orecchio alle mani…