10 - Apr - 2020
Sabato Santo e Pasqua
(At 10,34a.37-43 Sal 117 Col 3,1-4 Gv 20,1-9)
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Dopo la morte del Signore la chiesa attende. I discepoli non sapevano di attendere. Alcuni o alcune, forse, speravano oltre ogni speranza, ma comunque il giorno del sabato passa nel silenzio. Tacciono le parole. Non ci sono più segni. Il Signore della vita è morto. Il nostro peccato, la nostra iniquità, il nostro male banale e meschino, lo hanno ucciso, come uccide i poveri, i fratelli, la madre Terra. E adesso? Davanti all’irrimediabile e definitiva parola della morte, davanti alla pietra chiusa resta solo da tacere.
Ci viene chiesto di vivere così il sabato, ma – diversamente dai discepoli – noi abbiamo già la certezza di quello che troveremo il mattino del giorno dopo. La nostra attesa così si riempie di gioia. Le letture della veglia pasquale – quest’anno decurtata di segni decisivi quali l’assemblea radunata, il fuoco, il battesimo – ci devono accompagnare nella meditazione della buona notizia che sta alla radice dell’esistenza di ciascuno di noi: eravamo morti e siamo stati riportati in vita. Il Risorto dà appuntamento ai suoi in Galilea, nei luoghi dove ha insegnato e compiuto segni, e lì torniamo anche noi, perché la tomba (anche la tomba da cui noi siamo stati tratti fuori) è vuota: andiamo altrove e in attesa di vederlo ascoltiamo questo fiume di parole per prendere coscienza che siamo stati riportati alla vita. Solo la consapevolezza, infatti, del nostro essere stati fatti rinascere (nel battesimo e infinite altre volte), ci condurrà davanti al sepolcro vuoto capaci di credere. Vedremo solo una tomba vuota (come i discepoli trascinati al sepolcro da Maria Maddalena), eppure crederemo, perché sappiamo che cosa significhi: come chi è stato innamorato, sa riconoscere quando ha davanti una persona innamorata, così chi è stato riportato alla vita, sa vedere nel sepolcro vuoto un segno evidente della vita che trionfa.
Ripercorriamo allora le letture di questa notte santa per celebrare la vita che Dio fa scorrere in noi e ovunque e per contemplarne la pienezza nel primo dei risorti.
La prima magnifica descrizione del mondo (che apre la Scrittura) ce lo mostra plasmato dallo Spirito che esce da Dio modulato nella parola (come il nostro fiato che nella gola viene reso suono): Dio parla e ciò che esiste si mette in ordine, diventa ciò che lui desidera, ciò che lui ama. E Dio fa spazio a ciò che sorge, dà vita e si ritira perché il mondo, affidato a quelli che sceglie per curarlo (i grandi luminari in cielo e gli esseri umani sulla terra), possa prosperare, moltiplicando la vita.
La vita non rinasce però solo nel creato, ma anche negli esseri umani chiamati a riconoscere l’amicizia di Dio. Così Abramo rivive nella speranza di una discendenza e rivive ancora quando gli viene restituito il figlio della promessa: non è per la morte che Dio lo ha chiamato. Così nel padre Abramo veniamo guidati a riscoprire quale sia la promessa di vita che Dio ha fatto a noi. Anche Israele poi, stretto fra la schiavitù e la morte, rinasce, liberato al di là di ogni ragionevole possibilità, pegno di speranza per noi che conosciamo il giogo di molti e diversi padroni.
E se fosse il tradimento dell’alleanza con il Dio della vita a tormentarci, allora Isaia ci mostra un’altra rinascita nel perdono di Dio che riprende sempre con sé chi ama. Abbandono e sterilità non sono l’ultima parola, perché Dio raccoglie con immenso amore anche quelli che ha dovuto abbandonare. Il suo affetto è inamovibile come i monti e più dei monti. E per far fiorire la nostra terra di frutti abbondanti, Dio dona la sua parola, come una pioggia che feconda, un’acqua che disseta e un cibo che nutre: da noi, per suo dono, sgorga inesauribile la vita. Il profeta Baruc si ferma a meditare ancora il dono della parola di Dio e della legge: i comandamenti della vita sono la sapienza che Dio condivide con noi, la logica profonda del suo cuore che tutto ama e tutto conduce alla vita.
Infine se fosse l’esilio o il fallimento dell’alleanza e della vita ad alzarsi di fronte a noi beffardo, negando la verità di ogni promessa o dichiarandoci colpevoli per aver mandato in malora ogni dono di Dio, Ezechiele griderà per noi il ritorno dall’esilio, la purificazione, un cuore di carne abitato dallo Spirito di Dio, perché come Dio ha creato tutto, come rinnova la vita e il perdono, così rimette il suo popolo sempre di fronte alla possibilità di servirlo e di amarlo, come se fosse il primo giorno, come se fosse il primo dei giorni. E la Pasqua è proprio questo giorno mai visto, in cui la morte cede il passo alla vita e il sepolcro resta vuoto, inutile. Il Signore risorto offre alle braccia adoranti delle donne la verità delle Scritture impressa nella sua carne vivente e apre ad una vita nuova, fatta di amore e di testimonianza: Andate!
La tomba vuota (che il Vangelo di domenica mattina ci presenta) è eloquente adesso, perché ogni cosa ci parla della vita che rinasce e perché noi stessi siamo risorti con Cristo e così cerchiamo e vediamo le cose di lassù (lettera ai Colossesi), pronti a testimoniare che colui che era stato ucciso è risorto e che in lui si riceve il perdono dei peccati (prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli), perché noi per primi – come ci dice in più modi la bellissima epistola ai Romani proclamata nella veglia pasquale – sappiamo di essere morti con Cristo (al peccato) e di vivere con lui. Anche noi facciamo Pasqua: morti al peccato, ma viventi per Dio in Cristo Gesù, fatti nuovi dal dono di lui, come una meraviglia mai vista prima.