23 - Dic - 2020
Natale del Signore
(Is 52,7-10 Sal 97 Eb 1,1-6 Gv 1,1-18 – Giorno)
Venerdì 25 Dicembre 2020
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ci fermiamo oggi solo su questa frase presa dal Vangelo della messa del giorno, provando ad entrare nel mistero che celebriamo ogni Natale.
Molto spesso confondiamo la fede cristiana con un senso religioso che si avvicina alla magia o alla superstizione: se preghiamo in un certo modo e con una certa frequenza possiamo ottenere da Dio ciò che vogliamo e se seguiamo certe norme o diciamo di credere anche in ciò che non capiamo Dio ci proteggerà. Le pratiche religiose o il sentire religioso ci danno un senso di protezione: la vita poi, quella è un’altra cosa.
Confondiamo la fede anche con la nostalgia dei tempi andati, come se il Vangelo fosse stato vissuto nel contesto sociale di 50 anni fa, ma non oggi, come se nelle famiglie di oggi non ci fosse, mentre c’era in quelle di ieri, come se nell’umanità di oggi non ci fosse, mentre c’era in quella passata.
Il Natale però viene a confondere i nostri sistemi religiosi e le nostre convinzioni sul sacro. Dio infatti non sembra essere il Supremo essere potente che dai cieli tira le fila della storia mandandoci oggi sciagure e domani consolazioni (o viceversa), né sembra essere uno che castiga chi non gli piace o non riesce a reggere gli standard di moralità che lui stabilisce.
Dio è invece (scandalosamente!) il Signore mite che si fa bambino. Sceglie di salvare la storia, il mondo e l’umanità entrando nella storia, nel mondo e nell’umano: si fa carne e gioca secondo le regole cui siamo sottoposti anche noi, senza magie, senza sconti, senza evitare problemi e sofferenze.
Nasce, ha bisogno di essere cresciuto, impara, decide, si gioca nello spazio angusto della sua vita e delle sue relazioni, fallisce, muore, ma soprattutto dentro questi spazi costretti e affaticati ama. Ama come riesce: a volte non viene capito, viene tradito persino e violato, e tutto quello che fa è continuare ad amare, ad offrire con ogni mitezza se stesso come dono perché quelli che lui ama possano goderne. Amando così sconfigge la morte.
Il Natale ci mette davanti il Dio cristiano. Niente superpoteri e supereroi che spazzano via i problemi del mondo e ricevono applausi: solo un bambino sulla cui carne si scriveranno tutte le fatiche degli uomini e nella quale scaveranno l’odio e l’ingiustizia. Solo un bambino, perché non serve di più per cambiare il mondo, per salvarlo, per rinnovarlo come se ricominciasse oggi per la prima volta. Il mondo non si salva – nemmeno dalla pandemia o dalla crisi ambientale o dalla violenza delle guerre – per un intervento soprannaturale di non si sa quale ipotetico dio, ma si salva a partire da questo bambino, dalla storia di lui che continua e si ripete in chi lo accoglie (consapevolmente o meno).
E così il Natale non ci offre la consolazione della protezione divina, ma ci chiede di essere noi la novità che può salvare il mondo: ci viene offerta la rinascita, non una magia che scaccia i problemi o non ce li fa sentire, ma l’amore possibile, povero, fallimentare, prosaico, l’unico vero. Questo amore in noi, l’amore di Dio, può farci rinascere e la nostra carne, povera e bisognosa come quella di un bambino, mostrerà la potenza di Dio che agisce, umile, nascosta, piccolina, ma capace di sconvolgere le esistenze di tutti, dal di dentro, dal basso, come un bambino che nasce sconvolge la vita dei genitori e della famiglia intera.
Questo Dio, umile e coraggioso, impotente e colmo di speranza, ostinatamente amante, è quello che ci è messo davanti nella festa del Natale.
E abbiamo la possibilità di vedere già ora che tutto rinasce, qui nella carne fragile e reale dell’umanità che lui stesso ha voluto per sé.
Prorompete insieme in canti di gioia, perché il Signore ha consolato il suo popolo.