Ascensione del Signore (B)
(At 1,1-11 Sal 46 Ef 4,1-13 Mc 16,15-20)
Domenica 16 Maggio 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Il tempo di Pasqua si conclude, grandiosamente, con le solennità di Ascensione e di Pentecoste, in un crescendo che, dopo aver a lungo meditato sulla resurrezione di Cristo, ci fa fissare lo sguardo sui frutti che questa resurrezione porta dentro la storia. Si comincia fissando il cielo (nelle orecchie gli squilli di tromba, i canti, le acclamazioni, i battiti di mani che ci suggerisce il salmo) come i primi testimoni della resurrezione; con il volto rivolto al mistero di Dio che non solo si è voluto incarnare ma accoglie in sé, nella sua vita senza fine, l’umanità che oramai il Figlio di non lascia più: un corpo umano dimora nel grembo di Dio, segno che l’alleanza di Dio con noi non è revocabile. Lo sguardo viene attratto: la nostra fragilità viene trasfigurata, i limiti stravolti dall’amore, il Figlio – pienamente uomo e con tutta la propria corporeità – ascende (si sposta cioè su un altro piano di esistenza) al Padre, ricostituendo con lui la comunione perfetta di vita che aveva prima e allo stesso tempo rinnovandola di quanto è diventato e ha vissuto: il Figlio di Dio che ora è l’uomo Gesù, crocifisso e risorto, ascende al cielo.
A questo punto però come possiamo incontrarlo, dal momento che il suo corpo, la sua concreta visibilità ci è sottratta? Come ascoltarlo? Come poter constatare che egli vive? Nella seconda lettura ci viene presentato un lungo brano della lettera agli Efesini in cui ci viene annunciato che il corpo del Signore ora è costituito da quelli che credono in lui. Questi infatti, riempiti dallo Spirito che li rende figli del Padre, vengono stretti a Cristo e ne diventano le membra, al punto che se custodiscono “l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” essi stessi diventano (per opera dello Spirito) il luogo in cui Cristo può essere visto, ascoltato e riconosciuto come il Vivente. Mentre sale al cielo infatti egli distribuisce ai chi crede in lui tutto ciò che è suo. E così ciascuno e ciascuna partecipano in modo unico e vario della sua pienezza e reciprocamente tutti si offrono quello che hanno ricevuto, in modo che il dono di uno nutra tutti: in questo modo il corpo di Cristo viene edificato, fatto crescere e custodito.
A questo punto, vivendo questa unità e questa cura reciproca nell’offrirci quanto ci viene partecipato del dono di Cristo, il Vangelo che annunceremo sarà credibile. Chi guarda e chi ascolta riconoscerà infatti che ciò che annunciamo è vero perché noi che annunciamo viviamo in modo tale da essere il corpo di lui, in modo cioè da rendere presente il Signore Risorto. Custodendo lo Spirito che abita e ci costituisce come corpo di Cristo infatti porremo anche noi i segni che accompagnano la predicazione: scacciare il male (scacceranno i demoni), imparare le lingue che gli altri possono capire (parleranno lingue nuove), non farsi avvelenare dal male del mondo imparandone la logica (prendere in mano i serpenti e non subire danni dal veleno dei serpenti), sollevare chi soffre dalla propria fatica (guarire i malati). E così nessuno avrà bisogno di guardare il cielo perché egli stesso continua nei suoi a mostrarsi vivo e a parlare delle cose del regno di Dio.