XV Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Am 7,12-15 Sal 84 Ef 1,3-14 Mc 6,7-13)
Domenica 11 Luglio 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Per annunciare il Vangelo, cioè per raccontare la storia di Gesù in modo che si comprenda che in essa si rivela l’amore del Padre per ciascuno e la logica profonda dell’esistenza umana, occorre una grande libertà, che il Vangelo di questa domenica descrive come una spoliazione. I Dodici – nei quali dobbiamo comprendere ciascuno di quelli e quelle che è stato chiamato dal Signore a seguirlo, ovvero ogni credente – devono andare senza pane, né sacca per raccogliere qualsiasi cosa possa esser utile, né denaro, né una tunica di ricambio. Sandali e bastone per camminare e nessun peso, nessuna scorta, nessuna sicurezza. Chi annuncia il Vangelo deve essere libero di lasciar trasparire solo l’amore di Dio che dona vita (scacciano i demoni, cioè il male che si annida nei cuori, e guariscono dalle malattie) e per fare questo non deve avere interessi personali da proteggere (né economici né di affermazione personale né di altro genere), non deve avere nemmeno posizioni da mantenere né bisogno di influenzare gli altri con le proprie convinzioni: al contrario chi annuncia si mostra bisognoso di accoglienza (fermarsi in una casa) e pronto ad andarsene se gli altri non volessero ascoltare. Nessuna violenza, nessuna pretesa, nessuna posizione di forza: solo l’offerta di un amore indicibile, con la speranza che venga riconosciuto.
D’altra parte non sarebbe possibile predicare come credibile il Vangelo di Gesù pretendendo di essere forti, perché lui non lo ha preteso, né pretendendo di convincere tutti, perché Gesù ha scelto la via della testimonianza, trasparente e mite fino alla fine: perché il Vangelo sia credibile per chi lo ascolta, la vita e le parole degli annunciatori devono essere capaci di mostrare lo stile di Gesù, la sua stessa vita spesa per guarire e liberare con le parole e i gesti. La libertà è una condizione indispensabile per tutto questo, altrimenti di fronte alle difficoltà o ai contrasti non si sarà in grado, come Amos (prima lettura), di rispondere che ciò che si vive e si testimonia viene solo da Dio che ha operato per noi e in noi, saremo invece costretti ad ammettere che difendiamo altro dalla buona notizia del suo amore che vuole raggiungere tutti, magari difendiamo cose che sono o ci sembrano valide, ma non sono questa buona notizia, che pretende invece di essere tutta la nostra ricchezza.
Questa parola (per dirla con la seconda lettura che inizia questa domenica la lettera agli Efesini) è il Vangelo della nostra salvezza e per aver creduto in essa noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo e siamo depositari della benedizione dello Spirito e della pienezza della vita in Dio. Dal Vangelo viene la speranza di essere stati liberati da ogni colpa e colmati di ogni sapienza e intelligenza; dal Vangelo viene la certezza che ogni cosa prenda senso e culmini in Cristo. Questa sola parola dunque, avendo anche il coraggio di purificarla dagli elementi provvisori o inautentici che i secoli le hanno cucito addosso, dobbiamo servire e portare perché quante più donne e uomini possibili, tramite ciò che noi siamo e diciamo, possano accorgersi che Dio è colui che libera e guarisce, colui che ha preparato un’eredità che non esclude nessuno ma conduce tutti alla pienezza della vita.
“Non ero profeta né figlio di profeta” (così Amos), non traggo vantaggio dal profetizzare, ma annuncio lo stesso ciò che Dio mi ha detto, la parola che ha liberato me e mi conduce sulla strada: un paio di sandali, un bastone e nient’altro che la compagnia di Colui che mi/ci manda, perché sola si mostri – nella mia povertà e nel mio camminare – la bellezza del Vangelo.