XXV Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Sap 2,12.17-20 Sal 53 Giac 3,16-4,3 Mc 9,30-37)
Domenica 19 Settembre 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Sia la prima che la seconda lettura (seppure non scelte in accordo fra di loro) mettono l’uno di fronte all’altro due stili, uno quello del giusto e uno quello di chi è animato dallo spirito di contesa, che fa sorgere ogni sorta di cattiva azione. Chi è abitato da gelosia e spirito di divisione infatti è dominato da un desiderio (meglio sarebbe dire un’avidità) insaziabile che lo spinge a uccidere e fare guerra senza fra l’altro che riesca mai a possedere nulla (così nella lettera di Giacomo). E questo è anche l’atteggiamento degli empi della prima lettura (tratta dal libro della Sapienza) che tendono insidie al giusto. Lui rimprovera loro le inadempienze della legge e gli empi invece di convertirsi, dominati dallo spirito di contesa che spinge a fare guerra, cercano di colpirlo con violenze e tormenti. Addirittura lo sfidano là dove è radicato il suo cuore, perché lo tentano sull’amore di Dio. Infatti, mentre gli usano violenza, lo provocano: secondo le sue parole l’aiuto gli verrà, Dio verrà in suo aiuto! E dicono questo mettendolo a morte. Il giusto invece non ha bisogno di difendersi perché non è in guerra: se rimprovera quella che riconosce come una mancanza è perché tutti vivano, anzitutto colui che sbaglia. La sapienza che lo abita è mite e pacifica, non perché non resiste al male o non lo dichiara, ma perché non vuole fare male all’altro e cerca la relazione con lui; è una sapienza sincera, senza doppi fini, e si riconosce facilmente dai frutti buoni: ciò che nasce da questa sapienza nutre e dà sapore.
I discepoli, nel Vangelo di questa domenica, sono ancora incapaci di distinguere lo stile mite e arrendevole da quello pieno di avidità che cerca il potere (magari chiamando servizio). Infatti proprio mentre Gesù parla della sua Pasqua (un’altra volta dopo quella che abbiamo sentito domenica scorsa), loro discutono sui primi posti (dopo che Gesù aveva insegnato a rinnegare se stessi e prendere la propria croce). Sanno che la logica di Gesù è un’altra (tacciono vergognosi infatti quando lui chiede di che cosa stessero parlando lungo la strada), ma seguono comunque lo spirito di grandezza che li abita.
Gesù allora li (ci) istruisce con un gesto semplicissimo, antico quanto il mondo: abbraccia un bambino. Fa cioè ciò che fanno tutte le madri e ciò che ogni essere umano venuto al mondo ha conosciuto per prima cosa: l’essere tenuto in braccio per essere nutrito, riscaldato e amato. Per insegnare ai suoi la logica del Vangelo, Gesù compie il gesto delle madri. Da loro si può imparare perché il potere non venga mascherato dalla retorica del servizio, come accade di continuo. Lo stile delle madri (senza cadere però in un’altra retorica, perché anche le madri a volte spadroneggiano sui figli) deve essere quello di accogliere coloro che ci sono affidati, fare loro spazio, fare di tutto perché crescano e lasciarli liberi. Ogni volta che il potere o l’esercizio di una responsabilità schiaccia, toglie libertà e impedisce agli altri di vivere come adulti responsabili, non si sta seguendo la logica del Vangelo; ogni volta invece che si abbraccia per far crescere e lasciare liberi, sì.
Infine Gesù ricorda ai suoi che accogliere così i piccoli, dare loro la possibilità di crescere e vivere, spendersi perché altri possano essere uomini e donne pienamente realizzati, è qualcosa che viene rivolto direttamente a lui. Chi accoglie un piccolo, accoglie me, perché è proprio ai piccoli che il suo sguardo è rivolto e chiede a quelli e quelle cui affida responsabilità di prendersi cura proprio di loro. Come una madre Gesù abbraccia i piccoli e come una madre cerca altri e altre che, come lei, si sappiano spendere perché i suoi piccoli vivano adulti e in libertà. Chi vivrà così sarà, facendosi ultimo per lasciare spazio a chi deve far crescere, sarà il primo: proprio come Gesù, la cui morte prelude la resurrezione e per il quale l’aiuto di Dio non si è fatto attendere.