I Domenica di Avvento
Anno C
(Ger 33,14-16 Sal 24 1Ts 3,12-4,2 Lc 21,25-28.34-36)
Domenica 28 Novembre 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Ogni volta che nella vita ci troviamo ad aspettare qualcosa di importante, soprattutto un incontro che sappiamo essere decisivo per noi, nel nostro cuore abitano da una parte l’esaltazione, la speranza, il desiderio che tutto avvenga presto, e dall’altra la paura, la trepidazione, l’angoscia persino. Quando un incontro è decisivo infatti può riempire la nostra vita del bene che speriamo (e da qui la attesa gioiosa e trepidante) oppure può distruggere i nostri desideri (e da qui la paura, la tendenza a spostare in avanti il momento, l’ansia).
Le letture di questa domenica, che aprono il tempo d’Avvento cominciando a farci leggere il Vangelo di Luca, hanno questo sapore agrodolce, perché prendono sul serio l’incontro con Dio che ci aspetta: nel Vangelo i toni apocalittici degli stravolgimenti e della paura, nella prima lettura la bellezza della realizzazione di ogni attesa. Questi pochi versetti del profeta Geremia, dopo aver parlato di giorni in cui si realizzano le promesse di bene fatte da Dio, nominano per bene tre volte la realizzazione della giustizia (giusto, giustizia, Signore-nostra-giustizia) e per due volte fanno riferimento al germogliare (farò germogliare un germoglio giusto). A chi ascolta e – come noi – vive in un mondo ingiusto, questo annuncio apre scenari altri e promette una novità. Il Vangelo, però, sembra riportarci subito con i piedi per terra evocando segni nel cielo e angoscia sulla terra e annunciando una paura da morire davanti a ciò sta per accadere. Invece del compiersi del bene, sembra venirci incontro qualcosa di terribile. E proprio a queto punto Gesù ci sorprende: infatti quando arriva ciò che fa temere ci invita ad alzare il capo perché la nostra liberazione è vicina.
Sembra quasi dirci che il male o gli eventi spaventosi del mondo non sono il segno che Dio è lontano e disinteressato, ma al contrario sono il luogo in cui viene: quando il pericolo si fa più intenso è proprio il momento in cui lui è più vicino. E per questo occorre vegliare, non bisogna lasciarsi distrarre dagli affanni – rimanendo bloccati dalla paura – né dal desiderio di sfuggire la realtà – le ubriachezze – ma non bisogna lasciarsi neppure trascinare a sperperare la vita e ciò che si è (dissipatezze), come se non stessimo aspettando nessuno, come se il Signore non stesse preparando l’incontro con noi, come se la vita fosse senza meta.
Sembrerebbe che il compimento delle promesse di bene e il germogliare della giustizia vadano cercati proprio in mezzo a ciò che più spaventa delle vicende della vita, mentre tutto quello che bisogna fare nell’attesa (ci dice Paolo in questi pochi versetti della lettera ai Tessalonicesi) sembra sia crescere nell’amore. È l’amore infatti che ci permette di vivere nello sconvolgimento di cielo e terra portando vita dove sembra non ci sia, abitando ovunque, anche in quello che sembra un inferno, facendo spazio alla vita e facendola crescere. E così, amando, si sta attenti a se stessi, perché istruiti da Dio su quale sia via giusta e su quali siano i suoi sentieri (Dio si confida con chi lo teme!). In un attesa così vissuta forse proveremo anche timore, ma questo sorgerà solo dall’amore: chi ama non teme di incontrare chi spera gli dirà che vuole passare la vita con lui? E la donna che sta per partorire non teme all’idea di avere il primo figlio? Forse proprio questo santo timore che nasce dall’amore ci libererà dal rischio di perderci altrove, dimenticandoci chi è che ci sta aspettando e cosa sta facendo germogliare. Ecco verranno giorni: questi giorni.