II Domenica di Pasqua (B)
(At 4,32-35 Sal 117 1Gv 5,1-6 Gv 20,19-31)
Domenica 11 Aprile 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Giovanni chiude il suo Vangelo (l’ultimo capitolo è un’appendice successiva) dicendo di aver scritto perché noi credessimo e così potessimo avere la vita. La fede in Cristo Risorto infatti, riconoscerlo vivo e Signore, ci fa entrare nella vita: per questo la chiesa fin dal suo sorgere lo annuncia e per questo gli evangelisti hanno scritto. Perché il discorso non sembri teorico e lontano, la seconda lettura di questa domenica, tratta dalla prima lettera di Giovanni, ci spiega in che cosa consista la vita di chi crede e dove si possa sperimentare e vedere. Chi crede (dice Giovanni) è generato da Dio, cioè ama Dio e quelli che sono nati da lui, tanto che i comandamenti – che altro non sono che amare il prossimo – non ci sono gravosi. Tutto ciò non significa che non abbiamo debolezze o fatiche, ma che sperimentiamo in noi il gusto di amare, di fare il bene, di far vivere, di condividere. Anche la prima lettura (tratta dagli Atti degli apostoli) ci dice che la fede si traduce emblematicamente nel non riuscire più a considerare come proprie le cose che possediamo e possono essere di aiuto ad altri: tutto finisce per essere in comune, perché non si sopporta l’idea che l’altro sia nel bisogno. Lasciando stare quali possano essere le concretizzazioni che questa tensione interiore può avere, perché “vendere i propri beni” per provvedere ai bisogni di tutti si può realizzare in modi diversi e adatti ai nostri modi di vivere e alle nostre configurazioni sociali e legislative, resta il dato di fatto: la fede prende carne nell’amore e così vince il mondo, cioè l’egoismo, l’odio, la divisione, l’avidità, l’indifferenza. Solo lo Spirito ci può spingere gli uni verso gli altri al punto da essere un cuor solo e un’anima sola e vedere un amore così è una tale meraviglia da farci esclamare col salmista: la destra del Signore ha fatto prodezze, una meraviglia ai nostri occhi.
L’annuncio del Vangelo, quindi, è capace di suscitare la fede nel Risorto e questo ci introduce alla vita che solo l’amore è capace di generare. La fede, però, sorge dall’annuncio del Vangelo, cioè dalla testimonianza credibile di chi ci fa toccare con mano (metti qui il dito nel segno dei chiodi!) con la propria vita che l’amore di Dio è reale, fa rinascere, perdona, pacifica. In questo brano del Vangelo di Giovanni ci viene spiegato che non si dà alcun vantaggio fra noi, che possiamo solo ascoltare l’annuncio del Vangelo, e quelli e quelle che hanno visto Gesù risorto: il cammino è lo stesso. Di fronte ad un’esperienza capace di farci riconoscere il Signore (non hanno forse anche i discepoli faticato a riconoscere il Signore? Quanta incredulità, paura, fraintendimenti!) bisogna credere: non è l’evidenza dei fatti che convince i discepoli, ma proprio come accade a noi devono riconoscere in ciò che hanno davanti agli occhi la presenza del Vivente (non è un fantasma, non è un’allucinazione, non è solo un pellegrino che si ferma a cena…). Per questo Tommaso, che pure è uno dei testimoni apostolici e quindi ha le sue ragioni a voler vedere il Signore come era stato per le altre e gli altri, si sente dire che sono beati quelli che crederanno senza aver visto, perché l’essenziale non è quale sia l’esperienza in cui Dio si fa presente, ma la capacità di riconoscerlo come colui che è Risorto dai morti. Questa fede conduce alla vita e diventa carne nell’amore, carne ferita e rigenerata, nelle cui piaghe guarite altri possono infilare il dito per poter poi credere alla potenza del Dio vivente.
Il cammino è lo stesso: riconoscere il Signore e credere che Dio lo ha resuscitato dai morti, ascoltandone l’annuncio di pace. Molte volte però davanti a questa bellezza il nostro cuore rimane freddo, spaventato, ripiegato sulle sue meschinità e legato a perdite, sofferenze, persino a peccati: per questo il Signore comanda ai suoi la remissione dei peccati. Il male, dentro di noi e intorno a noi, non viene tolto: è vinto ma non cancellato. E questa vittoria si gioca proprio sulla nostra capacità di riconoscere l’amore sconfinato di Dio che sempre perdona, rigenera, ringiovanisce. I discepoli erano fuggiti via, anche le donne – sempre fedeli – avevano avuto paura davanti all’annuncio dell’angelo e avevano taciuto (così ci racconta Marco), Pietro aveva rinnegato: davanti a loro il Signore parla di perdono. Non nega il male o il tradimento che ci sono stati (il perdono non è fare finta di niente, parte piuttosto sempre dal riconoscere il male accaduto), ma dà a ciascuno una nuova possibilità, perché forte delle esperienze fatte – anche del proprio limite e del proprio peccato perdonato – porti a tutti l’annuncio della fede che vince il mondo. Come loro noi, oggi, per i quali Giovanni riserva le ultime parole del suo Vangelo: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto. Beati quelli che nelle ordinarie e terribili fatiche della vita hanno occhi e cuore per riconoscere e scegliere la vittoria di Dio su ogni male. Beati quelli che sanno che la morte, che pure così da vicino ci minaccia, è stata vinta.