XII Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Gb 38,1.8-11 Sal 106 2Cor 5,14-17 Mc 4,35-41)
Domenica 20 Giugno 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Il capitolo quarto del Vangelo di Marco raccoglie le parabole del seme (la parabola del seminatore, quella del seme che cresce da solo e quella del granello di senape) che illustrano tutte la potenza mite e umile della parola che si immerge nella nostra terra (in quello che siamo), mette radici (anche se dipende da quanto il terreno sa essere sgombro) e poi cresce da sé, giorno e notte, e cresce a dismisura, anche fuori posto, dove nessuno avrebbe creduto sarebbe potuto crescere niente. Ci vogliono solo fiducia e pazienza e il seme darà i suoi frutti. Alla fine di questo discorso Gesù e i suoi si mettono in mare per andare dall’altra parte e si scatena una tempesta spaventosa, mentre Gesù dorme.
Dorme Gesù nel mezzo della tempesta, quando abbiamo paura, quando non sappiamo fronteggiare i pericoli perché sono troppi e troppo grandi. Come i discepoli ci viene da svegliarlo: non ti importa che moriamo? Gesù si veglia e minaccia il vento e il mare che si calmano. Improvvisamente, dalla quiete del sonno che fa inermi tutti gli esseri umani, si erge a Signore, in tutto simile a Dio che parla a Giobbe (nella prima lettura): io ho chiuso il mare fra due porte, decidendo il suo limite. Lui parla e, come afferma il salmo, la tempesta è ridotta a silenzio e noi usciamo dalle nostre angosce.
Eppure dopo aver fatto questo, lasciando i discepoli pieni di timore, chiede: “Perché avete paura, non avete ancora fede?”. Verrebbe da dire che hanno dimostrato la loro fede proprio svegliandolo: non hanno creduto così che lui poteva salvarli? E che cosa è questa paura che Gesù oppone alla fede? Non può essere certo l’incoscienza di chi non riconosce la gravità dei pericoli. Forse Gesù rimprovera ai suoi di non avere fede perché non hanno assunto la logica del seme. Nel mezzo del pericolo, mentre la tempesta infuria (la vita non è una tempesta nella maggior parte dei casi?) cercano un dio onnipotente che scacci i pericoli e li metta in salvo, ma Gesù non ha insegnato questo su Dio: ha insegnato la logica del seme che cade nella terra e con essa soffre la siccità o la tempesta, fatica in mezzo alle spine e non riesce a trovare radici se ci sono sassi. Gesù ha insegnato il Dio umile che lotta con gli esseri umani, che li rende liberi e coraggiosi, che soffre per loro, che affronta la morte con loro.
Non avete ancora fede? La fede non significa credere che Dio tolga tutti i problemi: non è mai accaduto e mai accadrà. Credere poi che le sofferenze non toccheranno a chi crede, mentre toccano a chi non crede è terribile. I discepoli non hanno ancora fede perché non assumono la logica del seme, della mitezza e della pazienza di Dio, che ci chiede di affrontare le tempeste in altro modo, senza miracoli, che pure a volte possono accadere. Nella seconda lettura (seconda lettera ai Corinzi) Paolo ci aiuta a vedere in Gesù la logica del seme. Lui è morto per tutti: non si è sottratto alla tempesta e se ha svegliato i suoi nel momento del bisogno è stato solo per non rimanere da solo. Morendo per tutti ci ha mostrato la potenza del seme piantato nella carne degli esseri umani, che rende capaci di dare la vita e di risorgere, e così tutti quelli che vivono non vivono più per se stessi, ma per lui. Si tratta di una novità inaudita, questa parola ci fa nuove creature e rende nuovo tutto: non viviamo più per noi stessi avendo come uno scopo accaparrarci vita e difenderci dalla morte, per cui anche Dio dovrebbe servire soprattutto a questo (perché dormi, non ti importa che moriamo?), ma viviamo per lui, affascinati dalla logica della mitezza e dell’umiltà proprie dell’amore e certi dei frutti di vita che persino morendo il seme può portare.
Perché avete paura? Non si tratta di non temere la tempesta (sarebbe sciocco), né di pensare che Dio risolva sempre tutto se noi facciamo le cose giuste o ci fidiamo abbastanza (sarebbe idolatrico), si tratta di sapere (la fede è un’esperienza) che la parola seminata nei cuori è più potente del mare e del vento e che persino la morte, immersa nel grembo di vita che Dio è, si arrende per lasciare spazio alla fecondità inesauribile della vita. Nessuno può sfuggire la morte, né le tempeste, nemmeno Gesù l’ha fatto, può però vedere in azione la vita sempre e in tutta pazienza e umiltà, come Dio, attenderne i frutti. Questa consapevolezza fa nuove tutte le cose.