XVII Domenica
Tempo Ordinario anno B
(2Re 4,42-44 Sal 144 Ef 4,1-6 Gv 6,1-15)
Domenica 25 Luglio 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
A partire da questa domenica, per qualche settimana, interrompiamo la lettura del Vangelo di Marco per dedicarci al sesto capitolo del Vangelo di Giovanni nel quale è riportato, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani che leggiamo questa domenica, un lungo discorso di Gesù sul pane della vita.
Nel Vangelo ci viene raccontato (con una dinamica praticamente sovrapponibile a quella dell’episodio narrato nella prima lettura e che vede protagonista il profeta Eliseo) che a partire dal poco cibo che un ragazzo aveva con sé viene sfamata una moltitudine di persone e con una tale abbondanza da poter portare via gli avanzi. Il segno che Gesù compie viene incorniciato dalla reazione della folla: all’inizio si dice che lo seguono sul monte perché hanno visto i segni sugli infermi, poi – alla fine – dopo che la folla è stata sfamata si racconta che, visto il segno, vogliono farlo re, ma Gesù si ritira sul monte, questa volta solo. Perché Gesù sfama la folla se poi rifiuta il “successo” che gli viene da ciò che ha compiuto? Sembrerebbero essersi convinti del fatto che è un profeta, quello che deve venire: perché dunque Gesù si sottrae?
I segni sono sempre ambigui: possono distrarci con la loro efficacia e la loro forza e in questo modo possono farci pensare che Dio è colui che risolve i problemi, colui che conviene avere vicino per trarne tutti i benefici possibili e tangibili: salute (lo seguono per i segni sugli infermi), cibo (vogliono farlo re dopo essere stati sfamati). Non è questo però il motivo per cui Gesù compie dei segni e non è questo il significato che essi svelano: questo sarà evidente sulla croce che nel Vangelo di Giovanni è il segno per eccellenza, posto nella nudità più radicale.
Quale potrebbe essere dunque il significato del segno della moltiplicazione dei pani? Certamente l’evangelista, nel raccontare questo segno, ha in mente la celebrazione eucaristica: i credenti che si radunano per ricevere in dono un pane che è capace di sfamarli tramite quello che loro stessi condividono. Gli esegeti commentano spesso questo segno – riportato anche dagli altri Vangeli – dicendo che forse il miracolo compiuto da Gesù è stato riuscire a far mettere in comune quel poco che ciascuno aveva con sé: una volta che tutti hanno condiviso il poco che avevano, si accorgono che non solo basta per tutti, ma che ne avanza abbondantemente. E questa è proprio la logica della celebrazione eucaristica: la chiesa si raduna e ciascun credente porta con sé la propria offerta – in denaro, per la vita della chiesa e per i poveri, ma anche in doni, esperienze vissute, fatiche e gioie – e a partire da questa condivisione lo Spirito di Dio realizza un pane da spezzare insieme nel quale Cristo stesso è presente, vivo, operante.
Gesù moltiplica i pani, dunque, non per esaltare se stesso, per insegnare ai suoi l’unità (che viene descritta e rimarcata splendidamente dalla seconda lettura tratta ancora dalla lettera agli Efesini): offrendosi reciprocamente ciò che sono, i credenti possono essere resi un corpo solo dal dono di Dio e così il poco che abbiamo diventa così tanto da permetterci di sfamare non solo i fratelli e le sorelle che siedono a mensa con noi, ma anche tutti gli altri dai quali torniamo. L’unico pane che mangiamo (quanto sarebbe importante mangiare tutti il pane consacrato nella celebrazione cui partecipiamo!), il pane in cui Cristo si fa presente, è impastato delle nostre vite dunque e così ci nutriamo reciprocamente, perché il poco che abbiamo condiviso viene abitato da Dio e si moltiplica. A noi solo il compito di custodire questo dono con umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore, rinsaldando il vincolo della pace, ricordando che abbiamo un’unica speranza, un’unica fede e un solo Padre che opera per mezzo di tutti e in tutti è presente, là dove ci sediamo gli uni accanto agli altri per offrici ciò che abbiamo, quanto sia poco non importa davvero.