XXXI Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Dt 6,2-6 Sal 17 Eb 7,23-28 Mc 12,28-34)
Domenica 31 Ottobre 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Se domenica scorsa i pochi versetti della lettera agli Ebrei (seconda lettura) riprendevano la condizione umana di Gesù e quindi la sua capacità di comprendere tutte le nostre debolezze, perché anch’egli ha vissuto questa stessa debolezza, oggi, continuando la lettura della stessa lettera, Gesù ci viene descritto come senza macchia e perfetto, diverso dai sacerdoti umani (il confronto è fatto con i sacerdoti del culto ebraico) che devono offrire sacrifici anzitutto per le proprie mancanze. In che cosa consiste questa perfezione, però, dal momento che sappiamo che anch’egli conosce bene la debolezza, la sofferenza e persino la morte?
Gesù stesso ce lo rivela nel momento in cui questo scriba (siamo arrivati al dodicesimo capitolo del Vangelo di Marco) lo interroga: quale è il primo di tutti comandamenti? Questa domanda potrebbe essere, forse, riformulata così: a cosa ti dedichi? Di che cosa ti preoccupi sempre? Per che cosa vivi? E Gesù risponde non con un comandamento, ma con due. E non risponde seguendo l’ordine dei dieci comandamenti (certamente i più importanti fra i tanti che la tradizione ebraica conosceva e conosce) ma risponde dalla pienezza del suo cuore: il primo dei comandamenti è amare Dio con tutto ciò che si è e si ha, con l’intelligenza (mente), le azioni (forza) e con ogni respiro (l’anima). Aggiunge poi che questo amore non è mai solo, perché quando si vive amando Dio, si ha – proprio come Gesù – un cuore appassionato e compassionevole, e quindi l’amore di Dio si accompagna sempre all’amore del prossimo che viene amato come se stessi. L’altro infatti non è Dio e non può essere amato come Dio, come senso di ogni respiro, ma nemmeno si può amare se stessi così, perché nemmeno noi siamo Dio: Dio va amato sopra tutto, con tutto quello che siamo, e in questo amore, che diventa come l’aria che respiriamo, possiamo appassionarci all’altro, dedicarci a lui e a noi stessi, senza che nessuno di questi amori prenda il sopravvento sull’altro. Si scopre così, come lo scriba, che l’amore vale più di tutti i sacrifici, perché l’amore di Dio, del prossimo e di se stessi vissuti insieme conduce alla vita, non alla morte né all’immolazione di sé.
Mantenere l’equilibrio non è facile: dedicarsi ad amare Dio senza curarsi di sé e del prossimo fa della nostra vita qualcosa di disincarnato e non vero, perché Dio stesso è amore che spinge verso l’altro: solo chi ama conosce Dio. D’altra parte amare il prossimo come se fosse più importante di Dio e della nostra stessa vita può portarci a fare dell’altro un padrone (perché lo trattiamo come Dio ma non lo è) facendoci perdere libertà e vita. Amare infine solo se stessi – anche se si parla di Dio e si fanno opere buone – è solo la caricatura dell’essere umani, perché l’essere umano – creato ad immagine di Dio – è definito dall’amore. Si scopre così che per amarsi, per farsi del bene e custodire la propria vita, occorre avere un cuore capace di passioni, di affetti, di dedizione, di legami: per amarsi (per darsi vita) occorre trascorrere il proprio tempo nell’amore di Dio e del prossimo.
Così, ascoltando le Parole di Dio che ci insegnano l’amore – ci dice la prima lettura tratta dal Deuteronomio – si prolungheranno i nostri giorni, saremo felici e numerosi in una terra piena di delizie. La pienezza della vita riposa nell’amore dunque, proprio come è per Dio è anche per noi: questa è la roccia sicura, il baluardo, la potente salvezza che ci viene offerta contro ogni nemico. E questa è la via che conduce al regno di Dio, da cui secondo Gesù lo scriba non è lontano, al luogo cioè in cui solo la vita di tutti e tutte viene favorita e custodita, dove niente altro che non sia amore ha diritto di cittadinanza e spazio da occupare, un luogo che possiamo abitare già ora, proprio come Gesù, dediti all’amore che conduce alla pienezza della vita.