XXIV Domenica del Tempo Ordinario

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14 - Set - 2019
Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Commento della nostra parrocchiana Simona Segoloni Ruta – Teologa

Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda (Mt 18,14). Così Gesù conclude la parabola della pecora perduta nel Vangelo di Matteo dandoci la chiave per entrare nel cuore stesso di Dio, nei suoi desideri più profondi: che nessuno (dei piccoli) si perda. Leggendo il capitolo in cui Luca raccoglie le tre parabole che raccontano di smarrimenti e perdite, occorre tenere lo sguardo sul sentire di Dio, sul suo desiderio cioè che neppure uno si perda. Tutte e tre le parabole parlano di gioia e di festa per ciò che era perduto ed è stato ritrovato, ma tutte e tre dicono anche che chi si rallegra (cioè Dio, rappresentato dal pastore, dalla donna e dal padre) non vuole rallegrarsi da solo: il pastore cerca amici e vicine, la donna amiche e vicine, il padre cerca il figlio maggiore, perché vuole che anche lui faccia festa e si rallegri.

Il cuore di Dio che Gesù ci racconta è il cuore di un Padre/Madre che non vuole perdere nessuno dei suoi piccoli, ma che non vuole nemmeno che i suoi figli si perdano fra di loro. Ciascuno deve sentire l’urgenza verso gli altri, la stessa urgenza che sente lui: che nessuno si perda. Si capisce però se davvero ci muove lo stesso desiderio di Dio, se, quando le persone che erano perdute hanno nuove possibilità di vita, noi ci rallegriamo oppure no. Se ci ingelosiamo, ci sembra ingiusto, vorremmo qualcosa in più per noi o comunque la difesa dei nostri diritti contro quelli che, se si sono persi, si sono persi per colpa loro (o almeno non per colpa nostra), allora non è il Padre quello che amiamo e serviamo ma solo i benefici che speriamo di avere da lui.
Dio, infatti, è il Dio della vita. Non è geloso di quello che ha e dona continue possibilità di vita, perché ciascuno è prezioso ai suoi occhi ed è offerto come un dono a tutti gli altri. Nessuno deve perdersi, perché altrimenti tutto si sciupa. Perdere una pecora su cento è come aver perso un figlio su due, per questo si va a cercarla: neppure uno si deve perdere perché tutti sono stretti in unica vita condivisa (sono parte della stessa famiglia).
Dio non vuole vivere senza i suoi figli e ci insegna a sentire allo stesso modo, perché non si vive se gli altri muoiono. Lo sa bene Mosè che non vuole avere un’altra nazione (così gli promette Dio di fronte al peccato del popolo), ma vuole salvare le persone che ha fatto uscire dall’Egitto: non si tratta di un bene che si può sostituire (una pecora non vale l’altra, una moneta non vale l’altra e – in questo caso l’immagine è molto più efficace – un figlio non vale l’altro). Mosè (nella prima lettura che racconta gli eventi relativi all’episodio del vitello d’oro) conosce il cuore di Dio, la preghiera di lui è un dire a voce alta ciò che Dio vuole, un ricordare a sé e a lui il suo sentire.
A volte ci si perde lontani da ciò che parla di Dio, si abbandona l’ovile e la casa, altre volte ci si perde immersi nelle cose di Dio, dentro casa cioè, come la moneta e il figlio più grande che è smarrito quanto il piccolo poiché non conosce il padre. Ma comunque ci si perda, quando si viene cercati e ritrovati, la persona ha la possibilità di ricominciare a vivere. Non sarà più come prima, la memoria di quanto accaduto le ricorderà sempre la propria miseria e la propria piccolezza, ma questa diventerà la sua forza, perché avrà toccato con mano e potrà testimoniare (come leggiamo in questo brano della prima lettera a Timoteo) che davvero Dio è venuto per salvare, per liberare, per far vivere.
La pecora, forse malconcia, in mezzo alle altre testimonia che il pastore non è uno che tiene conto dei numeri ma dei piccoli, la moneta impolverata e graffiata testimonia che anche ciò che sembra sciupato è prezioso agli occhi di Dio, il figlio più piccolo testimonia che anche distruggere il patrimonio del Padre non è sufficiente per smettere di essere figli. Il fratello maggiore dovrà decidere invece se avere un fratello vivo vale la metà del suo patrimonio, perché ora che il patrimonio è dimezzato, alla morte del padre verrà di nuovo ridiviso e a lui toccherà la metà di quanto poteva avere.
Quanto vale un fratello? Quanto valgono gli altri? Quanto valgono i poveri? Quanto i nostri figli? Lo scopriamo da quanta gioia abbiamo nel dividere ciò che possediamo purché vivano. Se siamo disposti a mettere risorse umane, tempo e soldi per alleviare le sofferenze e soccorrere i poveri, se siamo disposti a impoverirci e difendere l’ambiente perché anche i nostri figli possano vivere.
Dio non vuole che nessuno di questi piccoli si perda, perché altrimenti nessuno avrà la pienezza della vita. E noi, che forse siamo nella casa del Padre e lavoriamo con diligenza, siamo incantati dal suo cuore che ci chiede di ridividere le possibilità di vita anche con chi era perduto? Che non ci accada di stare vicino a lui e di pensare che, in fondo, è meglio (o che non ci importa) se alcuni si perdono perché così possiamo tenere per noi tutto quello che resta: beni, idee, possibilità, vita.
Sarebbe un grande inganno, perché nel mondo che Dio ha fatto sorgere, in un mondo che nasce dall’Amore, la vita è sempre e solo condivisa: nessuno si può perdere perché siamo ciascuno per gli altri e viviamo ciascuno con gli altri. Se uno si perde, tutto si perde.
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