23 - Nov - 2019
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuore, dall’orecchio alle mani…
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Nell’ultima domenica del tempo ordinario, celebriamo la solennità di Cristo re. Forse per noi la regalità è qualcosa di distante, ha il sapore antico della storia passata, se non quello surreale delle fiabe, per cui prima ancora di comprendere in che modo Cristo possa dirsi re, lui che non ha voluto esercitare potere su nessuno ed ha esplicitamente respinto la tentazione di regnare su tutti i luoghi della terra, è bene provare ad entrare nel senso di un’immagine così antica.
Il re era certamente un uomo potente, temibile, assimilato alla divinità, se non venerato come tale. Il popolo doveva e voleva stringersi intorno a lui perché lui garantiva l’unità di tutti e in qualche modo ne rappresentava la salvezza. Questa però era vista nella possibilità di far prosperare il popolo e di difenderlo dai nemici, quando non, addirittura, di sottometterli per arricchirsi.
Con questa speranza nel cuore, anche gli israeliti – che già avevano abbandonato la frammentata struttura tribale per stringersi intorno a Saul – cercano Davide perché possa prendersi cura di loro e custodirli. La scelta cade su Davide, però, non per le sue qualità o per la sua capacità di persuadere il popolo a seguirlo, quanto per la scelta che Dio fa e che segue criteri distanti da quelli del successo e del potere.
Il popolo e Davide stringono allora un’alleanza, diventano un corpo solo (siamo tue ossa e tua carne, con un’espressione che richiama l’unione sponsale), perché da questo momento in poi il volere del re sarà quello del popolo e il destino del re quello del popolo.
Anche la regalità di Gesù dipende dalla scelta del Padre su di lui, il figlio prediletto inviato agli uomini per dare loro la vita, ma nel Vangelo che proclamiamo questa domenica appare evidente come dipenda anche da lui, dalla risposta che lui dà alla scelta del Padre.
Nel breve brano di Luca, Gesù è in croce. Per tre volte viene provocato: salva te stesso. Ogni re, d’altra parte, è scelto per salvare e far vivere il popolo, deve essere quindi in grado, anzitutto, di salvare e far vivere se stesso. Gesù però ha scelto un’altra via. Lui non è re per imporsi sugli altri, per mostrare il suo potere e le sue capacità, nemmeno per salvarli, ma solo per rendere evidente che il segreto della vita, la sua logica profonda sta nella consegna al Padre e che questo è colui che fa vivere e salva.
Se si fosse salvato da solo, avrebbe avvalorato la logica del mondo per cui vince chi ha potere, chi ottiene risultati, chi ha influenza, chi trova modi più o meno leciti per mandare le cose come vuole lui. A fin di bene magari, ma chi agisce in questo modo testimonia che la vita dipende da noi e autorizza tutti a cercare di salvare se stessi, piegando la realtà e gli altri se serve, perché prima di tutto occorre garantirsi la vita.
Gesù sceglie un’altra via. Si consegna al Padre perché lui lo salvi e tutti vedano così che c’è un solo modo per entrare nella vita e nella pace: lasciarsi amare dal Padre. Così non risponde alle provocazioni e decide di non salvare se stesso.
Il malfattore crocifisso alla destra di Gesù intuisce che lui è liberato dalla paura della morte, non perché non la senta o perché la sofferenza sia meno dura, ma soltanto perché sa di riceversi continuamente e allora può sperare di essere richiamato alla vita. Il ladrone intuisce che in questo modo di morire c’è una sapienza altra che lo fa sperare, una sapienza che inaugura un regno, perché ci si può stringere a questo re, facendo alleanza con lui in modo da entrare nella vita e nella pace di cui lui sembra conoscere la via.
“Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
“Oggi sarai con me in paradiso”. Questa è la risposta di Gesù, con la quale lui sancisce l’alleanza con il primo fratello che forma il popolo di quelli che sperano in lui: sarai con me. Gesù si sceglie come compagno di vita quello che aveva saputo stare con lui nella morte, che aveva saputo riconoscere una bellezza nel suo essere sfigurato, tanto da difenderlo. Non si scandalizza del peccato, che pure il ladrone riconosce (noi giustamente), perché questo non lo porta a giustificarsi e a disprezzare Gesù che muore anche se non ha fatto niente di male (l’altro ladrone invece sembra confermato nel male fatto: in fondo perché fare il bene se la fine è la stessa?). Gesù vede, forse, nello sguardo intelligente del ladrone che sa andare oltre la condanna di Gesù e lo riconosce come re, una consolazione del Padre, una conferma di essere nel giusto. “Oggi sarai con me in paradiso”: ricorda e spera ciò che attende e promette al ladrone che sarà anche per lui, perché lo vuole con sé, come l’amico che ha saputo consolarlo mentre tutti lo disprezzavano.
Noi vediamo, come il malfattore, la bellezza di questa morte fatta per amore e nella speranza? Scegliamo un re che non vince, che non ha potere, che non ha influenza su nessuno, che non ci ottiene favori, ma ci mostra quanto è solido e fedele l’amore del Padre, chiedendoci di vivere solo per questo? La tentazione di instaurare un regno qui, dove gli altri ci riconoscano valore, dove possiamo ottenere risultati e vittorie (sempre a fin di bene, per carità!) è fortissima anche per i credenti e per la chiesa. Così facendo però non siamo più nel Regno di Gesù, di questo re, ma di altri. Non tutti sono cattivi, ma non sono lui.
Noi invece (come ci ricorda lo splendido brano della lettera ai Colossesi) liberati dal potere delle tenebre (che ci spinge sempre a cercare di salvarci ottenendo ciò che ci sembra ci procuri la vita) possiamo goderci il perdono ed entrare nella famiglia di quelli che, come il primo malfattore, stringono alleanza con Gesù e così entrano nel suo regno. Egli è l’immagine di Dio, dell’Amore che lui è, ed è anche il senso di tutto ciò che esiste, perché tutto è fatto per entrare in una relazione filiale con il Padre: tutto esiste per essere, come il Figlio e stretto a lui, abbandonato all’amore del Padre che salva. Lui è anche il capo del corpo che è la chiesa, cioè il popolo che ha fatto alleanza, fino ad essere una sola carne con lui ed è capace così di renderlo presente perché tutti possano vederlo, ascoltarlo e sperare. In lui l’alleanza con Dio è perfetta, perché possiamo stringerci a Cristo che mentre si lega a noi ci lega al Padre suo con il quale vive un’unica vita.
Un re di un altro mondo, con un’altra logica e un’altra forza. Un re consegnato a Colui che tutto sostiene e fa vivere. “Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.