V Domenica di Quaresima (A)

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27 - Mar - 2020

Quaresima

V Domenica di Quaresima (A)

(Ez 37,12-14   Sal 129   Rm 8,8-11   Gv 11,1-45)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il cammino quaresimale ci ha condotto in molti luoghi: il deserto, nel quale scegliere chi servire quando tutto il resto viene tolto; il monte della trasfigurazione, rifugio di un momento per cogliere la gloria che risplende nella vita e nella persona di Gesù; il pozzo, dove scoprire che Gesù ha sete insieme a noi e ci addita un’acqua capace di dissetarci là dove l’arsura della vita non ci dà tregua; gli occhi aperti di un cieco nato, per entrare in una luce capace di farci vedere ciò che altrimenti resta nel buio.

Ora Gesù, turbato e piangente, ci porta davanti al sepolcro del suo amico, di colui che amava molto e che è morto, senza che lui affrettasse il viaggio per raggiungerlo e senza aver fatto nulla per guarirlo a distanza come altre volte aveva fatto. In questo brano Giovanni riprende molti spunti seminati nel suo Vangelo e in particolare nel racconto del cieco nato, letto domenica scorsa, ma soprattutto – questo è l’ultimo segno di Gesù per Giovanni – allude e prepara il segno per eccellenza posto da Gesù: la sua morte e la sua resurrezione. Gesù dice di sé di essere la resurrezione e la vita, promette così a tutti la rinascita: infatti la resurrezione rivela che la vita non può essere distrutta, perché Dio la rigenera continuamente. Dio apre continuamente i nostri sepolcri (come racconta la bellissima lettura tratta da Ezechiele) per la potenza dello Spirito che abita in noi (così Paolo ai Romani) e che dà vita ai nostri corpi mortali: nel battesimo, rigenerandoci come figli di Dio, ma anche in ogni morte o lutto che dobbiamo attraversare, compresa la nostra morte e compresa questa pandemia. Dio rinnova infallibilmente la vita.

Resta vero quanto visto domenica scorsa e ora ripetuto da Gesù a Marta: se credi, vedrai. La fede ci permette di cogliere la vita che trionfa e si rinnova continuamente distruggendo ogni morte, altrimenti lo sguardo si vela e gli occhi si chiudono per non vedere ciò che nessuno di noi può sopportare. I credenti devono essere di fianco agli altri, come chi ha la vista più acuta sta di fianco a chi guarda a terra con attenzione per non cadere: loro ci dicono dove mettere i piedi, noi aguzziamo lo sguardo perché loro sappiano dove stiamo andando.
La fede però non toglie la fatica né il dolore né il pianto: Gesù stesso di fronte al suo amico è turbato, sofferente e piange. La potenza di vita di Dio è reale, ma arriva dopo un travaglio altrettanto reale. La prova è dura, ma, come già aveva detto per il cieco puntualizzando che questi non era così per la punizione di una colpa, Gesù ci svela che “questa malattia non è per la morte” ma per la gloria di Dio, perché tramite essa il Figlio venga riconosciuto. Certo Gesù parlava della malattia di Lazzaro e della propria manifestazione nel segno che stava per compiere risuscitando il suo amico, ma per noi oggi, forse, potrebbe indicare che anche questa pandemia non è per la morte, ma perché scopriamo come vera, importante, significativa, la logica del Vangelo: essere una sola famiglia umana, scoprirsi fratelli e sorelle di tutti, fermare le guerre, farsi prossimi, condividere, prendersi cura, costruire un mondo più giusto, promuovere uno sviluppo che non distrugga, essere disposti a dare noi stessi perché altri vivano certi che Dio non ci abbandona alla morte.
Non è facile avere questi occhi. Marta era pronta e Gesù la guida ad un cammino di fede, che la vede fare la più solenne proclamazione di fede dell’intero quarto Vangelo: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Maria non ce la faceva, soffriva troppo, riesce solo a piangere. E Gesù, con lei, piange: si fa compagno anche di chi non ce la fa ad alzare lo sguardo. Poi si porta addolorato davanti alla tomba dell’amico: non ha fermato la malattia e posticipato la morte alla vecchiaia (non è questa la sete ultima da placare), ma guarda a questo dolore come un’occasione per sperimentare e mostrare l’amore vivificante del Padre.
“So che tu mi ascolti sempre…”. Forse Gesù sta di fronte all’amico morto, ascoltando il proprio dolore, per assaporare che non è possibile lasciare nella morte quelli che amiamo. Ciascuno di noi lo sperimenta: ci è insopportabile la morte di chi amiamo. Gesù vuole sentirlo, vuole saperlo, perché lui sta per morire e ha bisogno di sapere, forse, che il Padre non sopporterà di lasciarlo nel sepolcro e così lo farà rivivere. Farà della sua morte un modo per mostrare la sua potenza di vita, trasformando il male fatto dagli uomini in un bene incommensurabile. “So che tu mi ascolti sempre” e col cuore consolato chiama il suo amico fuori dal sepolcro. La morte ha i giorni contati.

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

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