XXX Domenica T.O. anno B
XXX Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Ger 31,7-9 Sal 125 Eb 5,1-6 Mc 10,46-52)
Domenica 24 Ottobre 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Il brano del Vangelo di questa domenica è l’ultimo miracolo raccontato dall’evangelista Marco. Gesù oramai è alle porte di Gerusalemme: deve ancora insegnare e poi vivere la Pasqua, ma non compirà più miracoli. Si tratta di un momento importante dunque in cui vengono tirate le somme di quanto è successo fino a qui. Siamo di fronte ad un cieco mendicante, di cui sappiamo alcuni dettagli, per cui si può ipotizzare che sia rimasto poi nella cerchia dei discepoli (d’altra parte il racconto si conclude con il cieco guarito che segue Gesù). Questo cieco sente dire che passa Gesù e grida forte, al punto da attirare l’attenzione di Gesù che lo chiama.
La scena riprende quella dell’uomo ricco, letta due domeniche fa: entrambi cercano Gesù (anche se in modo diverso) ed entrambi se lo trovano di fronte; il ricco parla con Gesù e viene fissato con amore, il povero cieco balza in piedi e non si fa pregare due volte quando il Signore gli chiede: che cosa vuoi che io ti faccia? Se l’uomo ricco aveva fatto la sua domanda (cosa devo fare per avere la vita eterna?), ma poi non aveva saputo accettare la risposta che gli chiedeva di abbandonare le ricchezze, il povero cieco viene interrogato e non ha dubbi su cosa vuole, anzi vede in Gesù una tale ricchezza per sé da abbandonare il mantello, cioè l’unico bene che avesse al mondo.
Ad entrambi il Signore offre la vita, cioè la possibilità di seguirlo, ma mentre il ricco rifiuta l’offerta esplicita di diventare un discepolo, il povero cieco non ha bisogno nemmeno di essere invitato. Si comprende allora che ciò che egli cercava non era solo riavere la vista, ma la pienezza della vita. Non è Gesù che guarda stavolta (come era accaduto con il ricco), ma è il cieco a vedere e, una volta guardato il Signore, non se ne vuole più andare. Paradossalmente sembra che la salvezza di Dio, la vita di lui, sia più alla portata di coloro che tutti considerano esclusi. La prima lettura (libro di Geremia) ci descrive questa salvezza come un’esplosione di vita che riguarda proprio ciechi, zoppi, donne incinte e partorienti, tutti coloro – insomma – che sono fragili e sanno bene di non potersi salvare da soli.
La loro condizione è così favorevole alla relazione con Dio che il Signore ha scelto per sé – così nella seconda lettura tratta dalla lettera agli Ebrei – proprio la loro debolezza e la loro fragilità. Potendo scegliere non ha voluto essere un ricco e un potente, ma un fragile e un povero, uno che – come questo povero cieco – si troverà spogliato a gridare sulla croce perché il Padre lo salvi. Bartimeo ha la sapienza necessaria per abbandonare il mantello, che paragonato a Gesù non vale nulla, e per seguirlo sulla via della fragilità, per questo Gesù lo dichiara salvato, usando per lui le stesse parole che aveva detto alla donna emorroissa tanto tempo prima. Entrambi questi campioni di fragilità hanno saputo riconoscere Dio che si faceva presente per donare loro la vita e così non se ne sono andati via tristi, ma esultanti come chi contempla il rovesciamento della propria sorte e non perché ora sono diventati forti, ma perché essere forti non ha più alcuna importanza. Ciò che conta è la vita, fragile eppure indomita, che gli viene continuamente offerta. E così possono dire col salmista “la nostra bocca si apri al sorriso, il Signore ha fatto grandi cose per noi”. Se ne andavano piangendo, ma ora tornano con le braccia colme di beni. Dove sia rimasto il mantello abbandonato in fretta e in furia, non importa davvero.