13 - Lug - 2019
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuore, dall’orecchio alle mani…
XV Domenica del Tempo Ordinario
Commento della nostra parrocchiana Simona Segoloni Ruta – Teologa
La legge, come giustamente risponde questo dottore che voleva mettere alla prova Gesù, ha il proprio culmine nell’amore di Dio e del prossimo, che sono solo due diversi lati della stessa medaglia. Per spiegare però che cosa significhi farsi prossimo di qualcuno, Gesù racconta la parabola del buon samaritano, nella quale si comprende che prossimo è chi è capace di ascoltare il grido del fratello, colui che si fa commuovere dal suo bisogno. Gesù nel racconto usa un verbo che noi traduciamo con “ebbe compassione”, ma che nella lingua originale significa: senti contrarsi le viscere. Si tratta di un verbo che indica quella pena e quella tenerezza che ci prendono la pancia, che fanno stare male, che ci impediscono di passare oltre: è la sensazione che provano i genitori per i loro piccoli che soffrono e che provano tutti coloro che si portano dentro qualcuno, la cui sofferenza ci diventa intollerabile. Il buon samaritano non va oltre il ferito non perché è un santo o un eroe, né perché ha paura di Dio, non va oltre perché non può farlo: il dolore che sente dentro, la compassione, non gli permette di abbandonarlo.
La compassione ci fa sentire dentro il dolore dell’altro, che diventa il nostro dolore, per cui ci chiniamo su di lui non per fare beneficenza o dare prova della nostra magnanimità, ma perché abbiamo bisogno di alleviare il suo dolore per alleviare il nostro.
Gesù aveva provato questo sentimento di fronte alla vedova di Nain che aveva perso l’unico figlio. Solo in quel momento il Vangelo di Luca (siamo al capitolo sette) usa per Gesù questo verbo che indica la contrazione delle viscere: di fronte alla madre vedova disperata per la morte del suo bambino, di fronte alle viscere contratte di lei in un dolore intollerabile, Gesù prova compassione, sente cioè le proprie viscere maschili contrarsi come quelle materne, sente la stessa pena di lei e non può che fermarsi per ridare la vita al ragazzo perché altrimenti vivere non sarebbe stato più tollerabile.
Questa compassione, che ci fa sentire dentro la sofferenza dell’altro come fosse nostra, è quella che prova Dio per i suoi figli, per questo Gesù la vive e per questo ci chiede di fare altrettanto. In questo modo, chinandoci su chi ha bisogno, ci convertiremo a Dio, perché allevieremo le sofferenze di quelli che lui si porta dentro e per i quali ha compassione. Chinandoci sul prossimo, ci chiniamo quindi su Dio, ci volgiamo a lui: ci convertiamo a lui. Questo comandamento non è difficile, è vicino a noi come vicini a noi sono tutti coloro che Dio ama e hanno bisogno. Vivendo in ascolto del loro grido, rendiamo presente nella storia l’amore del Padre, così come ha fatto Gesù che ne è la perfetta immagine e che ora ha nei suoi che lo amano un corpo capace di commuoversi e di farsi prossimo di tutti quelli che incontra lungo la strada.