24 - Gen - 2020
III Domenica T.O. (A)
(Is 8,23-9,3 Sal 26 1Cor 1,10-13.17 Mt 4,12-23)
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Giovanni, colui che doveva preparare la via, viene arrestato. Questo evento, cupo e angosciante, diventa l’occasione per Gesù di comprendere che è arrivato il suo momento. Il precursore ha fatto ciò che doveva fare prima di essere imprigionato: è il momento dunque di instaurare il Regno che lui si era dedicato a preparare.
E Gesù comincia da una terra marginale, quella in cui è cresciuto, seppure lasci persino la sua città (per essere ancora più ai margini, forse, senza coperture e punti di riferimento), e si ferma a Cafarnao. Matteo, riadattando la profezia che leggiamo nella prima lettura, interpreta la scelta di Gesù con le Scritture: quella terra più volte umiliata, rinchiusa nelle tenebre dell’oppressione, vede la gloria e la luce. Si tratta – come spiega il profeta Isaia – di una gioia dirompente, del tipo che si verifica alla fine delle attese lunghe e faticose: come quando si miete (dopo aver gettato parte del grano senza garanzie di ricavo e attendendo così per mesi, finché non si vede il raccolto spuntato, cresciuto e maturo) o come quando si spartisce il bottino (dopo aver combattuto una guerra ed essere stati quindi, non si sa per quanto, sul punto di perdere la vita).
Che cosa fa Gesù per essere indicato come portatore di tanta e tale gioia in quelle terre e nella nostra? Annuncia il Vangelo, la buona notizia che Dio viene a regnare: insegna perché questa parola penetri nei cuori, e guarisce perché essa porti frutto nella carne che soffre. Da lui esce una parola che illumina ogni notte, libera da ogni oppressione e porta a frutto ogni faticosa ricerca di vita.
Non fa altro che rivelare con le parole e con i gesti, l’immenso amore del Padre, l’amore che fa vivere tutto e ciascuno.
Gesù, poi, non tiene per sé il tesoro che è venuto a portare. Vuole che altri, insieme con lui, annuncino in modo da far entrare sempre più persone in questa grande rete (vi farò pescatori di uomini) che è la famiglia delle figlie e dei figli di Dio. Per questo comincia a radunare intorno a sé alcuni, per primi dei fratelli pescatori, che devono ricomprendere le loro relazioni (dovranno vivere la fraternità una volta lasciato il padre, cioè la struttura sociale che inquadrava la loro vita) e il senso delle loro giornate (lasciate le reti) per vivere solo del Vangelo, preoccupati di far vivere altri, pescandoli dal mare della sofferenza e del peccato.
Ciascun cristiano/a non è che uno pescato da questo mare tramite l’annuncio del Vangelo per il quale ora vive e che continuamente annuncia a sua volta per far vivere altri, come testimonia Paolo nel brano della prima lettera ai Corinzi che troviamo nella seconda lettura. Ma, se è davvero il Vangelo ciò per cui i credenti vivono, fra loro non possono esservi divisioni. Infatti, poiché unica è la parola che ascoltiamo, che facciamo nostra e che vogliamo vivere, non possiamo che essere unanimi nel parlare, in perfetta unione di pensiero e di sentire. E là dove comparissero discordie e divisioni, significa che bisogna tutti tornare al Vangelo, perché evidentemente ci stiamo nutrendo di altre parole e cerchiamo altre strade per giungere alla salvezza.
E così, come in quei lontani giorni nella sperduta e umiliata Galilea delle genti, oggi in mezzo ad ogni popolo minacciato dall’oscurità e dalla prigionia, gli esseri umani potranno vedere una grande luce e rallegrarsi: il Regno di Dio è vicino, non resta che volgersi verso di esso.
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuore, dall’orecchio alle mani…