Assunzione della Beata Vergine Maria
Assunzione della Beata Vergine Maria
anno B
(Ap 11,19; 12,1-6.10 Sal 44 1Cor 15,20-26 Lc 1,39-56)
Domenica 15 Agosto 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Il ritmo delle domeniche del tempo ordinario viene interrotto questa settimana dalla festa dell’Assunta. La Scrittura non parla del momento in cui Maria è passata dalla vita su questa terra alla vita in Dio, ma la comunità credente (che molto presto ha cominciato a celebrare la memoria del passaggio dei martiri e dei santi alla vita con Dio) ha creduto che Maria doveva aver affrontato la morte senza venirne toccata. Lei che non ha ceduto al male in nessun modo doveva essere arrivata davanti alla morte con una singolare fortezza, tanto da godere immediatamente della resurrezione (che altro significa essere assunta in cielo anima e corpo se non risorgere alla vita con Dio?). Nella sua storia poi la chiesa – pur faticando per le categorie utilizzate che hanno finito per parlare di Maria come dell’unica destinataria di privilegi singolari, lontanissima da tutti gli altri – ha saputo leggere in questo destino glorioso di Maria un pegno di speranza, l’anticipo di ciò che ci aspetta. Lei diventa così il segno grandioso perché i credenti sappiano che la morte non è in grado di toccarci.
E di segno grandioso parla il brano dell’Apocalisse (prima lettura) che descrive la chiesa, non Maria, come una donna che sta per partorire. In questa donna che lotta per la propria vita e per quella del bambino (perché sempre un parto, soprattutto dove non si dà ospedalizzazione, è un luogo in cui tutti rischiano la morte), per di più in condizioni improbe (davanti al drago che li vuole divorare), si vedeva la chiesa sofferente e perseguitata, ma anche affaticata dalla propria infedeltà, impegnata nella fatica di mettere al mondo la vita, cioè Cristo Signore reso presente dalla testimonianza dei credenti. Anche la seconda lettura (prima lettera ai Corinzi) ci parla di una fatica, ma nella forma di un combattimento che vede Cristo sconfiggere tutti i nemici, l’ultimo dei quali è appunto la morte.
Potremmo concludere quindi che la liturgia di oggi ci spinge a contemplare Maria alla fine della sua lotta contro il male in tutte le sue forme, che in modo suggestivo si può cogliere proprio come un travaglio di parto, alla fine del quale resta solo la vita che nasce e il riposo sazio di chi ha travagliato. Così la possiamo pensare nel suo passaggio dalla vita terrena a quella del cielo: impastata della fatica e della bellezza della sua storia, eppure sazia e colma di pace, come una partoriente alla fine della sua fatica. La morte ha provato a minacciarla, ma è stata sconfitta.
Questo travaglio da portare a termine è anche il nostro. Per comprendere come diamo la parola – come fa il Vangelo – alle donne (d’altra parte in materia di travaglio sono delle esperte) e in particolare alle profetesse che Luca ci mette davanti in questa pagina famosissima e straordinaria. La prima che profetizza è Elisabetta e dichiara Maria – e ciascuno di quelli che fa come lei – beata per la sua fede. La fede allora è ciò che permette di condurre a termine felicemente il travaglio, perché (guardiamo cosa fa Maria in questa pagina) ci fa muovere da dove siamo, ci fa servire, ci fa mettere al mondo la salvezza. La seconda profetessa è Maria che intona il Magnificat insegnandoci che il travaglio si porta a termine riconoscendosi creature fragili e povere e, proprio perché tali, disposte ad aprirsi ai doni di Dio che promettono e realizzano la giustizia della fraternità: una giustizia che rifugge tutte le gerarchie (i potenti scendono dai troni ai livelli degli altri) e ogni disuguaglianza (le mani dei ricchi vengono svuotate di ciò che hanno in più perché nessuno abbia più fame).
La via è indicata, la meta già si può intravvedere, per questo la chiesa – oppressa come tutti dalle minacce della malattia, della violenza, della distruzione della Terra – si ferma in questi giorni caldissimi e prende fiato, come se una brezza fresca portasse via l’opacità dell’afa e ci lasciasse per un attimo vedere più lontano da dove, sorella e amica, Maria ci sorride e di nuovo canta per noi il Magnificat per ricordarci cosa dobbiamo sperare e per cosa dobbiamo vivere.