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17 - Dic - 2021

IV Domenica di Avvento anno C

Avvento

IV Domenica di Avvento

Anno C

(Mi 5,1-4   Sal 79   Eb 10,5-10   Lc 1,39-45)
Domenica 19 Dicembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Come può realizzarsi la pienezza della pace? Come gli esseri umani (Israele in particolare per il quale risuonano le parole del profeta Michea che costituiscono la prima lettura) possono trovare la pienezza della vita e delle relazioni? Probabilmente a troppi verrebbe in mente che questo si può realizzare con la forza, con il potere, con l’efficacia e l’efficienza, con l’influenza e i numeri, tutto investito per il bene, per costruire un mondo di giustizia e di pace. Dio però sceglie un’altra via: promette uno che guiderà il popolo. Questo uno (ce lo dice la lettera agli Ebrei, nella seconda lettura) non avrà altro potere che l’offerta del proprio corpo, della propria vita e del proprio amore. La salvezza di Dio passa quindi per la piccolezza insignificante di un vissuto umano, della vita di un uomo così debole da poter essere infamato e ucciso impunemente. La santità e la pace, ogni possibile speranza, risiedono in questo uomo, nella sua vita semplice e straordinaria, fatta di amicizie e incomprensioni, di impegno, preghiera, riposo e delusioni. Una vita umana sola contiene in sé il segreto di ogni salvezza.

Per questo scrutiamo questa vita fin dal primo momento in cui si mostra, nel grembo che cresce di Maria, nel parto di lei e nel bambino che è affidato alle sue cure e a quelle di Giuseppe. Il Natale segna l’inizio straordinario e del tutto ovvio di questa vicenda umana tutta da contemplare, meditare e fare nostra, perché in essa risiede il segreto di ogni salvezza. In un grembo gravido, in un bambino, in un figlio di falegnami. Non sembra un progetto altisonante che attira lo sguardo dei potenti, è più un mistero quotidiano, il mistero quotidiano della vita. Roba da donne.

E infatti le prime a cantare la salvezza di Dio, le prime profetesse ed evangelizzatrici del Vangelo di Luca sono due donne. Maria è andata da Elisabetta: l’angelo le ha detto che proprio Elisabetta è il segno che la promessa di Dio si compirà. La vecchia sterile incinta è il segno che Dio può far fiorire il deserto. E la ragazzina vergine, impossibilitata a concepire proprio perché vergine, corre a vedere di che cosa Dio è capace. Quando si trovano l’una di fronte all’altra, i grembi diversamente gonfi di vita, Elisabetta è colmata di Spirito e, da profetessa, riconosce il Signore nel grembo di Maria. Prima di Giovanni Battista, è lei ad indicare colui che tutti attendono. Dichiara benedetta Maria e il frutto del suo grembo e poi dichiara beata lei non per la gravidanza, ma per la fede. Due donne incinte, nell’anonimato domestico di una casa povera, sviscerano e cantano il mistero di Dio nascosto nei secoli e fattosi presente in ciò che di più piccolo e mite esiste: la vita che nasce.

Beati noi, se è questa piccolezza che affascina e ci rallegra. Beati noi, se ci facciamo, come queste donne, spazio per la vita di Dio che viene nel mondo. Beati noi, se crediamo che tutto ciò ci è rivolto.

10 - Dic - 2021

III Domenica di Avvento anno C

Avvento

III Domenica di Avvento

Anno C

(Sof 3,14-18   Is 12   Fil 4,4-7   Lc 3,10-18)
Domenica 12 Dicembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Un’attesa trepidante, che mette nel cuore desiderio e timore (I domenica di Avvento), una strada di ritorno (di conversione) piena di consolazione, spianata e raddrizzata (II domenica), e un fiume di promesse che riempiono di vita anche i luoghi che sembravano sterili e vuoti (festa dell’Immacolata). Ora veniamo condotti dalla liturgia della terza domenica di Avvento nel pieno della gioia, perché quanto aspettiamo finalmente si compie. Il profeta Sofonia (prima lettura) non promette una salvezza futura, ma dichiara che il Signore è nel mezzo del suo popolo: per questo occorre riprendere coraggio come quando di fronte ad un lavoro troppo pesante qualcuno più forte ci si fa di fianco. Non siamo più soli e così sentiamo ritornare le forze e le braccia non cadono: il Signore è in mezzo a noi per salvarci e rinnovarci con il suo amore. Questo è possibile sempre, è possibile oggi.

L’Avvento ci viene donato per rivivere questo mistero di amore sempre rinnovato, che Dio ci offre continuamente. Non è stata un’offerta fatta solo una volta, ma ci sta davanti anche ora, anzi è in mezzo a noi. Questa certezza porta a rallegrarsi sempre (i pochi versetti della lettera ai Filippesi), anche quando la vita non offre motivi di gioia, perché tutto viene vissuto diversamente se abbiamo di fianco Chi amiamo e, se Dio non toglie le difficoltà e i dolori, però custodisce ciascuno con amore infallibile. Niente può impedirci di attingere a questa vita inesauribile e a questa gioia, oggi.

Come fare concretamente? È la stessa domanda che animava quelli che andavano dal Battista (di cui ci viene raccontato in questo brano del Vangelo di Luca): che dobbiamo fare ora che sappiamo che il Signore è vicino, presente? Come godere di questa vicinanza? Giovanni rispondeva ad ognuno con una parola adeguata alla propria situazione, per ognuno una parola alla loro portata, senza eroismi o richieste impossibili, ma per ognuno una parola concreta che li portasse ad alleggerire la vita delle persone che avevano vicino: gesti semplici capaci di togliere intralci dal cammino degli altri. Non c’è niente di difficile o di poco comprensibile nella vita cristiana, c’è l’amore di Dio sempre presente e sempre offerto e c’è un unico modo per godere e ricambiare questo amore: dare vita ad altri, ciascuno in base alle possibilità che ha. Non c’è bisogno di aspettare chissà che, si può cominciare subito, ascoltando da Dio quale opera fra quelle che abbiamo a disposizione può fare il bene di altri e facendola. E così, nella semplicità della vita buona, fatta di piccoli gesti di bene, ci potremo accorgere che le nostre braccia non indeboliscono, che le angustie non riescono a soffocare la gioia e che ci abita un fuoco buono capace di bruciare la paglia e lasciare intatto il grano che ci è messo tra le mani per sfamare quanti più possiamo, oggi.

04 - Dic - 2021

II Domenica di Avvento anno C

Avvento

II Domenica di Avvento

Anno C

(Bar 5,1-9   Sal 125    Fil 1,4-6.8-11   Lc 3,1-6)
Domenica 5 Dicembre 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Che cosa stiamo attendendo? La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci racconta di un popolo su una strada. È un popolo che ha vissuto l’esilio, è stato umiliato e ferito, ha il cuore e i ricordi pieni di lutti e dolore. Ora questo popolo viene ricondotto a casa. Un annuncio di gioia, di ritorno, di guarigione e consolazione profonda. Forse il primo passo di questa domenica è accorgerci che siamo in esilio, guardare senza veli le ferite e i fallimenti che sperimentiamo, i lutti e le paure (personali, ecclesiali e sociali): fare verità senza sconti e senza mezze illusioni. E a questo punto l’annuncio di un ritorno forse ci sembrerà impossibile: come ricominciare, come rallegrarsi di nuovo?

La voce di Giovanni nel deserto però ci provoca. La conversione è sempre possibile: aprire il cuore alla logica di Dio, farsi perdonare l’imperdonabile e accettare dalle sue mani una nuova possibilità di vita, perché – così il brano della lettera ai Filippesi – Dio porterà a compimento l’opera buona che ha iniziato in noi. Non c’è soltanto l’esilio e il fallimento (che pure bisogna guardare e riconoscere), c’è anche l’opera buona che Dio ha iniziato in noi e che si cura di portare a compimento: non possiamo fare nulla che lo distolga dal proposito di condurci alla vita.

E così la bellissima prima lettura, tratta dal profeta Baruc, ci dà qualche dettaglio sul cammino che ci attende. Mentre camminiamo feriti e umiliati lontano dall’esilio, Dio stesso prepara un trionfo, spiana le montagne davanti ai nostri passi perché il cammino sia piano e diritto, colma ogni valle perché si possa andare sicuri, persino le selve invece di minacciare diventano riparo ombroso dal calore. Non siamo abbandonati lungo la strada, il rientro non dipende dalle nostre abilità, partire e decidere di camminare dipende da noi (crescere ad ogni passo nella carità e nel discernimento, ci dice ancora la lettera ai Filippesi), ma il cammino è preparato e custodito e l’esilio ci sta alle spalle.

Davanti a noi l’immagine bellissima di Gerusalemme che come una madre che esce dal lutto, si riveste a festa e si alza ad accogliere i figli che credeva morti. Potremmo vedere in questa immagine la chiesa, che attende di diventare ciò di cui il mondo ha bisogno: il segno visibile ed efficace della comunione che Dio realizza con gli esseri umani e fra gli esseri umani. La chiesa (noi), oggi così affaticata, spesso poco credibile, abbarbicata in difesa di un tempo finito e persino a volte lontana dal Vangelo, si alza in piedi pronta ad accogliere ciascuno di noi che torna per renderla ciò che deve essere: il popolo di Dio in mezzo agli esseri umani, perché tutti possano sperare, trovare pace, vivere. Il segno credibile dell’amore del Padre.

Non importa quanto è stato lungo l’esilio né quanto abbiamo pianto: “Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui”. Questo attendiamo.

18 - Dic - 2020

IV Domenica Avvento (B)

Avvento

IV Domenica d’Avvento (B)

(2Sam 7,1-5.8-12.14.16   Sal 88   Rm 16,25-27   Lc 1,26-38)
Domenica 20 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

L’ultima domenica di Avvento entra nel vivo del mistero e non ci deve portare a commemorare eventi passati, ma a comprendere come questi eventi siano vivi ed efficaci oggi perché, come riflettevamo domenica scorsa, il Signore è già in mezzo a noi. Riconoscerlo, rimuovere gli ostacoli perché ci raggiunga e aprirci al nuovo inizio che lui opera in noi e per noi è ciò che possiamo fare per goderci il dono che ci sta davanti. Quel mistero infatti (come leggiamo nel brevissimo passo della lettera ai Romani che costituisce la seconda lettura), che è stato avvolto per secoli dal silenzio e poi è stato svelato mediante le Scritture, ora può essere annunciato a tutti: Dio viene a visitare il suo popolo (l’umanità, il mondo e ciascuno/a di noi), a condividerne la vita e la storia.

L’annuncio fatto a Maria, riportato in questa pagina di Luca letta anche nel giorno dell’Immacolata, dichiara proprio che Dio viene a visitare il suo popolo. Non è lontano, non è incomprensibile, non vive tutt’altro da noi: si fa, invece, uno di noi per condividere con noi la sua vita. Figlio di Davide che regnerà sulla casa di Giacobbe: Dio viene a condividere la storia del suo popolo, non rinnega quello che è stato, perdona le infedeltà, si pone come erede di quello che gli esseri umani hanno saputo fare dei suoi doni e viene per salvare e custodire tutto. Non solo apre un nuovo inizio, ma benedice la storia che c’è stata fin qui e che noi troppo spesso siamo tentati di rinnegare o disprezzare.
Come stare davanti ad un Dio così? Nella prima lettura (secondo libro di Samuele) Davide vuole costruire una casa a Dio, vuole, da bravo re che abita una bella casa, fare qualcosa per onorare Dio cui deve tutto. Ma Dio non ci sta. Non vuole essere riempito di lusinghe e riconoscimenti (come fanno i potenti e anche noi quando ci capita), Dio vuole invece continuare a custodire: tu preoccupati di vivere, sembra dire a Davide, io costruirò una casa per te e per i tuoi figli e per il popolo. Ti ho preso dal pascolo e sono stato sempre con te, ho cacciato i tuoi nemici e ti darò riposo da loro. E alla fine della tua vita mi preoccuperò io di rendere stabile il tuo regno e di custodire i tuoi figli. Tu vivi, mentre io custodisco la tua vita. Dio è troppo impegnato a far vivere per volere altro.
La storia di Davide, quella del popolo e quella di ciascuno di noi, sta tutta qui: Dio non vuole da noi se non che viviamo. Non gli servono prestazioni né sacrifici né onori: rinnova il nostro passato e promette un’alleanza per il futuro, ci costruisce intorno un riparo per vivere. Per questo è venuto nel mondo, per questo viene continuamente.
Maria, la sapiente, lo sa: non pensa a che cosa deve fare per Dio, a come obbedirgli o fargli favori, semplicemente lo ascolta, si fa riempire dallo Spirito e vive, dando vita. Il Natale è alle porte, il Signore viene in mezzo a noi per costruirci una casa e custodire la nostra vita perché fiorisca. Non c’è mai stata nella storia risposta migliore di fronte a questa bellezza di quella di una ragazzina di Nazareth: Eccomi. Eccoci, Signore. Avvenga per noi ciò che dici.
11 - Dic - 2020

III Domenica Avvento (B)

Avvento

III Domenica d’Avvento (B)

(Is 61,1-2.10-11   Lc 1   1Ts 5,16-24   Gv 1,6-8.19-28)
Domenica 13 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Abbiamo cominciato l’anno liturgico ascoltando la promessa di un nuovo inizio nel Signore che ci viene incontro e per il quale (ascoltavamo nella seconda domenica di Avvento) dobbiamo preparare la strada del nostro cuore.

Ora, dopo aver riposato lo sguardo su Maria che ci anticipa concretamente il dono che Dio vuole fare a ciascuno, entriamo nella domenica della gioia perché il tempo si è fatto breve e il momento dell’incontro è incombente. Tante volte rimaniamo stupiti e allo stesso tempo sommersi dalla nostalgia quando ci accorgiamo che il tempo passa troppo in fretta, mentre ci sembra non passi mai quando stiamo aspettando qualcosa o qualcuno che desideriamo. Proprio perché sembra non passare mai, quando finalmente arriva il momento tanto atteso, non sappiamo trattenere la gioia. Ecco il cuore di questa domenica: entrare nella gioia dell’incontro con Dio.
Per vivere questi atteggiamenti la liturgia della Parola ci mette di nuovo di fronte Giovanni Battista che dà testimonianza a Gesù, dicendo che oramai è “in mezzo a noi” colui che deve venire e del quale Giovanni non è intenzionato a prendere il posto, perché lui non è la luce, ma deve renderle testimonianza.
Il Signore è già in mezzo a noi: questo l’annuncio di Giovanni ai giudei di allora e a noi oggi. Per questa venuta di lui in mezzo a noi possiamo essere sempre lieti e rendere sempre grazie (come ci invita a fare la seconda lettura tratta dalla prima lettera ai Tessalonicesi), anche se ancora non viviamo la pienezza della sua presenza e quindi dobbiamo vagliare ogni cosa e tenere solo ciò che è buono, tenere, cioè, ciò in cui Dio si fa presente.
Solo infatti se siamo consapevoli, lieti e grati, del fatto che Dio ci viene incontro vivremo scrutando la vita per cogliere i luoghi in cui lui viene, lì dove (facendoci aiutare dalla prima lettura) chi soffre viene alleggerito e liberato, oppure in quei momenti in cui ci lasciamo rivestire dalla giustizia dopo aver messo a nudo le nostre iniquità o quando lasciamo che l’amore di Dio porti frutto in noi nel beneficare tutti quelli che hanno bisogno.
Il momento di accorgerci della presenza di Dio, comunque, è arrivato e così possiamo fare nostre le parole del canto di Maria. Il mio spirito esulta perché Dio ha guardato la mia piccolezza e ha fatto in me (e grazie a me) grandi cose: gli affamati mangiano e i ricchi hanno smesso di accumulare lasciandosi svuotare le mani, i prepotenti hanno smesso di opprimere e i piccoli sono stati liberati, la compassione misericordiosa di Dio è arrivata al suo popolo e a tutti. Cerchiamo queste tracce, ciò che è buono, e potremo gioire della presenza di Dio. Rallegriamoci, dunque, perché il Signore è vicino. Basta guardare bene, è già in mezzo a noi.
03 - Dic - 2020

II Domenica Avvento (B)

Avvento

II Domenica d’Avvento (B)

(Is 40,1-5.9-11   Sal 84   2Pt 3,8-14   Mc 1,1-8)
Domenica 6 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Nella prima domenica di Avvento avevamo notato la possibilità di un nuovo inizio per il quale vegliare attentamente: è questo il momento in cui Dio ci plasma di nuovo, reimpastando la terra di cui siamo fatti e ridandoci vita. In questa seconda domenica è la seconda lettura (dalla seconda lettera di Pietro) a parlarci di una novità che riguarda il mondo intero, destinato a finire e a rinascere: cieli nuovi e terra nuova in cui avrà stabile dimora la giustizia. Ci viene messo davanti, seppure tramite immagini, un dono che va oltre ogni aspettativa e che proviamo a guardare prendendo le parole del salmista: una salvezza vicina perché Dio abiterà la nostra terra; amore, verità, giustizia e pace che fioriscono dalla terra e piovono dal cielo; un cammino di giustizia già tracciato su cui mettere i piedi; Dio che dà il bene e noi che lo restituiamo portando frutto.

Di fronte all’annuncio di un tale dono non si può stare con le mani in mano, ma ci si deve preparare. Così nel brano del profeta Isaia leggiamo che, consolati dalla sofferenza per i nostri peccati (dite a Gerusalemme che la sua tribolazione è compiuta e la sua pena scontata), dobbiamo dedicarci con operosità a preparare la strada tramite la quale il Signore vuole raggiungerci. Il Signore infatti certamente vuole raggiungerci e vuole raggiungerci tutti (non vuole che alcuno si perda, per questo ogni giorno va guardato come un’occasione in più per prepararsi all’incontro, ci ricorda la seconda lettura) ed è anche pronto a prendersi cura di ciascuno nel modo adeguato (gregge, pecore madri e agnellini, ognuno a suo modo), ma non vuole venire a noi senza che noi prepariamo la sua via, senza cioè che percepiamo la bellezza del dono che ci viene fatto e ci prepariamo ad accoglierlo con i fatti.
Allora, personalmente, ma anche come comunità umana e tanto più come comunità cristiana, siamo chiamati a rendere piano il terreno accidentato del nostro cuore ferito e delle nostre relazioni inique e a raddrizzare le vie tortuose che usiamo per nascondere, manipolare, giustificare tutto ciò che non è secondo Dio nel mondo, in noi, nella chiesa. Preparare la strada al Signore che viene vuol dire interrogarsi sugli ostacoli da rimuovere e per poi farlo.
Il Battista è presentato da Marco proprio come colui che richiama il popolo di Israele – e oggi ciascuno di noi – a compiere ciò che serve perché il dono di Dio giunga a destinazione e non rimanga infruttuoso. Grida nel deserto, chiamando a conversione e portando l’attenzione di tutti su ciò che dobbiamo attendere: il Signore che si fa continuamente presente. E se Giovanni poteva offrire solo un battesimo di acqua in cui riconoscere il proprio peccato per cominciare a spianare gli ostacoli e raddrizzare le storture, annuncia però ciò che in Gesù si è compiuto e che di nuovo ci viene offerto: il battesimo nello Spirito, cioè il dono di essere immersi nell’amore di Dio per poter vivere dentro questo amore e secondo il suo cuore, cominciando a vedere e a costruire i cieli nuovi e la terra nuova promessi. Se davvero attendiamo la salvezza, lavoreremo perché essa ci raggiunga e raggiunga tutti: Dio è già in cammino ma ci raggiungerà solo se saremo noi a spianargli la strada, cominciando a cambiare ciò che va cambiato in noi e intorno a noi.
27 - Nov - 2020

I Domenica Avvento (B)

Avvento

I Domenica d’Avvento (B)

(Is 63,16-17.19; 64,2-7   Sal 79   1Cor 1,3-9   Mc 13,33-37)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Vegliate! Per ben tre volte Gesù ripete in questi pochi versetti del Vangelo di Marco un imperativo stringente: vegliate! A questo aggiunge le raccomandazioni del caso: fate attenzione, non vi addormentate. Oramai a ridosso dell’inverno con le giornate scorciate dal buio e il freddo che si associa al virus per chiuderci in casa, quando più verrebbe da assopirsi e cedere alla malinconia, il tempo liturgico dell’Avvento irrompe gridandoci di vegliare. La seconda lettura (dalla prima lettera ai Corinzi) aggiunge ancora qualche dettaglio: ci parla di una pienezza di doni già ricevuti, di una testimonianza salda che dimora nella chiesa per cui non ci resta che attendere con fiducia la manifestazione del Signore per la quale lui stesso ci conserverà irreprensibili.

Mentre il buio (e con esso le fatiche della vita) sembra volerci indurre al sonno, il Signore ci ricorda così che dobbiamo vegliare perché il tempo che passa non va verso il nulla o verso il caso, ma tende all’incontro con lui e quindi diventa prezioso come sempre è preziosa l’attesa di chi si ama: non ci si può addormentare neanche volendo quando si attende colui che il nostro cuore desidera.
Siamo in attesa di un incontro, dunque, che costituisce però un nuovo inizio. L’anno liturgico che ricomincia infatti (proprio mentre quello solare volge al termine) diventa segno concreto di un ricominciamento inaspettato (della storia, della nostra vita, di tutto), per entrare nel quale leggiamo con calma la bellissima prima lettura  che cuce insieme due brani del libro del profeta Isaia.
Seguendo il testo vediamo che anzitutto ci si rivolge a Dio e allo stesso tempo si riconosce che il nostro cuore si è smarrito (perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie?) e indurito. Si deve ricominciare da qui, dalla verità di noi stessi, dal nostro errare e dalla nostra durezza. E poiché su questi sembriamo non avere alcun potere alziamo il grido della preghiera: ritorna Signore! Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Ma proprio nell’invocazione che sorge dalla consapevolezza del nostro errare si aprono nuove comprensioni. Prima ritorna nitido nella nostra mente il ricordo delle opere di Dio (tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti) e poi ci accorgiamo del suo amore: mai si è visto né sentito che un dio diverso da Te abbia fatto tanto per chi confida in lui. A questo punto anche quella che ci sembrava la sua lontananza, quella condizione che ci faceva sentire soli, diventa qualcos’altro: Dio non ha smesso di amare, al contrario è adirato come un innamorato geloso. Non ci ha abbandonato: lo smarrimento che proviamo è segno della mancanza che lui prova, della gelosia che ha per noi.
“Ma, Signore, tu sei nostro padre, noi siamo argilla e tu sei colui che ci plasma”. Ecco, di fronte al nostro peccato (siamo come panno immondo, arriva a dire il profeta, foglie avvizzite portate via dal vento della nostra iniquità) e alla reazione sdegnata e sofferente di Dio per la nostra mancanza di amore (tu sei adirato…avevi nascosto il tuo volto), arriva la consapevolezza di ciò che ci aspetta: come Dio ci ha creato e più volte ci ha riplasmato dandoci vita e perdono, così farà ora. Il nuovo inizio che attendiamo, di cui il tempo di Avvento si fa segno, è il tempo in cui Dio rimette le mani su di noi per modellare la terra di cui siamo fatti, per riplasmarci come un’opera nuova e bellissima.
Come si può non attenderti, Signore? Vedremo cadere a terra le scorie che ci avevano sporcato e il fango che aveva deformato il nostro aspetto e ci riceveremo nuovi, unici, dal tuo amore che tutto ricrea e fa vivere. Nessun buio resisterà allo splendore del tuo volto e nessuna stanchezza sarà capace di farci addormentare. Vieni presto, allora, Signore, “mostraci la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.
20 - Dic - 2019

IV Domenica d’Avvento

Maria Donna dell'attesa

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

IV Domenica d’Avvento

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Senza una parola che illumini, i fatti della vita, compresi quelli in cui Dio si fa presente, non vengono compresi. Per questo Dio prepara la venuta del suo Figlio con tante parole che i profeti ripetono in diversi contesti e a diverse persone, come accade con Acaz che, come ci racconta il profeta Isaia, non vuole nemmeno che Dio gli si faccia presente con un segno (e trova una motivazione buona, persino spirituale, per tenerlo lontano: “non voglio tentare il Signore”). Ci ricorda la lettera ai Romani che Dio molte volte aveva promesso il Vangelo e questo perché, quando si sarebbe verificata, Israele fosse in grado di riconoscere la visita del suo Dio.

Così è anche per ciascuno di noi. Abbiamo ascoltato molte parole che ci possono istruire a riconoscere la presenza di Dio nella storia e nel nostro cuore, così che quando arrivi il momento noi sappiamo leggere ciò che ci accade alla luce delle sue promesse e scoprire così la salvezza per noi e per tutti (proprio come Paolo la scopre per sé e per le genti chiamate alla fede).
Anche Giuseppe di Nazareth aveva ascoltato molte parole e era andato così a fondo nell’ascolto della legge che per rispettarne il cuore non poteva osservarne la lettera: infatti quando viene a sapere che Maria è incinta, dovrebbe ripudiarla se osservasse la lettera della legge, ma Giuseppe, uomo giusto, uomo cioè secondo il cuore di Dio, sa che il significato profondo della legge è far vivere e così il ripudio (come spiegherà Gesù al capitolo 19 di Matteo) – a maggior ragione nel caso di Maria – non può essere posto in atto. Si inventa un congedo in segreto, per onorare il comandamento secondo giustizia, ma il sogno – in cui Dio, secondo la tradizione ebraica, parla con un settantesimo della voce – scuote la sua decisione: può prendere con sé il bambino e la madre, perché sta accadendo quello che i profeti avevano promesso. La parola di Dio permette a Giuseppe di comprendere ciò che accade non come un’offesa e una sventura (perché gli viene chiesto di non essere più padrone di moglie e figli, come era tipico del tempo, ma solo servo di entrambi, divenendo icona di ogni paternità cristiana), quanto piuttosto come il compiersi di tutte le promesse, come la più grande delle gioie, anche se questo avrebbe reso la sua vita ciò che lui non pensava e che non avrebbe scelto.
La venuta di Dio accade così, per ciascuno, in fatti oscuri, ordinari o persino in situazioni assurde che mai avremmo voluto. Per accorgersi di questa presenza che salva e dà senso al nostro vivere, ci serve una parola che spieghi e illumini, come è stato per Giuseppe e per Maria. Solo questa parola è capace di mostrarci in questo bambino, nato come tutti, il Salvatore, quello che può darci la chiave per vivere ogni situazione e per farci sperare, perché già pregustata, la pienezza della vita. Si tratta solo di un germoglio, di una promessa di vita, come è per ogni bambino, ma la Parola ci guida a coglierne la portata e a fondare la vita su di essa, perché “del Signore è la terra e quanto contiene, il mondo con i suoi abitanti; è lui che l’ha fondato sui mari e sui fiumi l’ha stabilito”. Si tratta solo di un inizio, ma così solido da far intravvedere pienezza e compimento.
13 - Dic - 2019

III Domenica d’Avvento

Maria Donna dell'attesa

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

III Domenica d’Avvento

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

L’annuncio di gioia che le letture di questa domenica fanno, come se la salvezza di Dio fosse imminente, come se tutto quello che minaccia il mondo non fosse più pericoloso, è spiazzante. Vediamo intorno a noi i segni della violenza umana sui poveri e sulla natura. Disastri e guerre, divisioni, odio, cieca stupidità e sete sfrenata di guadagno sembrano i dominatori del mondo. E anche il nostro cuore, pure intenzionato a vivere rettamente e secondo Dio, spesso ci tradisce, scegliendo il male, l’ipocrisia, la paura. I nostri progetti non vanno tutti a buon fine né le nostre relazioni sono tutte riconciliate e gioiose.

Proprio qui, in questa terra arida (un deserto o una steppa, per dirla con il profeta Isaia), si dà un annuncio di gioia, perché nel deserto vedremo spuntare i fiori. Siamo di fronte ad un’illusione?
Ogni volta che si è davanti ad una promessa, dobbiamo decidere se veniamo ingannati o se possiamo appoggiare la nostra vita su quello che ci viene annunciato. Lo decidiamo in base ai pegni che anticipano questa promessa e all’affidabilità di chi la fa. Però, anche i pegni fossero validi e la persona degna di fiducia, dobbiamo aspettare perché spunti il fiore seminato, perché arrivi chi attendiamo e perché si compiano le promesse fatte. Bisogna avere la sapienza dell’agricoltore (così nella lettera di Giacomo) che sa aspettare il tempo che serve alla terra per dare i suoi frutti.
Questa saggezza, quando si tratta di attendere il regno di Dio, non è immediata. Persino il Battista fatica a riconoscere in Gesù il pegno anticipatore della promessa di Dio. Allora Gesù istruisce quello che era stato il suo maestro ricordandogli la Scrittura e chiedendogli di leggere ciò che accade alla luce di questa. Così dobbiamo fare noi: guardare la realtà comprendendola sulla base della parola che Dio dice. E Dio ci invita a guardare i ciechi che vedono (tutti coloro che riescono ad accorgersi che la vita non può essere vissuta se non nella giustizia e nell’amore), gli zoppi che camminano (quanti pur segnati da ferite e fallimenti non si fermano e vivono e fanno vivere), i lebbrosi che guariscono (quanti sono rimessi al mondo dalla cura e dal perdono), i sordi che odono (quelli che cominciano a fare propria la parola di Dio e a vivere di conseguenza), i morti risuscitano (quanti scelgono di accogliere l’amore del Padre per ricominciare a vivere dopo aver perduto tutto), l’annuncio del Vangelo fatto ai poveri, perché tutti sappiano che Dio è Amore che libera.
Queste tracce dell’opera di Dio sono ovunque e conducono ad una via santa, sulla quale si può vivere con gioia, cancellando la tristezza, anche mentre si è nella fatica dell’attesa e mentre si aspetta una salvezza che ancora non si può gustare.
Se una donna appena saputo di essere incinta volesse stringere il proprio bambino, impazzirebbe o interromperebbe la gravidanza. Ma il corpo femminile ha una sapienza antica, che lo fa aspettare, gustando la presenza invasiva di una promessa, acuendo i sensi per cercare continue conferme, accogliendo come un dono persino lo sformarsi del proprio corpo, perché tutto questo è la traccia della vita che lo abita. Così dobbiamo attraversare la storia, cercando l’opera di Dio che fa vivere e libera, servendola, moltiplicandola, eliminando ogni ostacolo alla sua azione, facendoci coraggio di fronte ad ogni segno della sua potenza vivificante. Per fare questo bisogna aver compreso la logica di Dio e averla fatta nostra, allora saremo già nel Regno dei cieli e potremo dire a tutti quelli che dubitano della salvezza (come accadde al più grande dei profeti): guarda bene, Dio rende giustizia agli oppressi e libera, ridona la vista e rialza chi è caduto, sostiene i poveri e protegge i forestieri. Guarda bene: il Signore regna per sempre. E gli altri, come è stato per il Battista, crederanno perché vedranno in noi, come lui ha visto in Gesù, questa speranza farsi storia nelle nostre vite.

 

30 - Nov - 2019

I Domenica Avvento

Maria Donna dell'attesa

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

I Domenica Avvento

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La vita si gioca nell’infinito rincorrersi di momenti che sembrano lasciare tutto come è, miriadi di istanti rapidi e subito dimenticati, fra i quali si nascondono momenti, ore, giorni che hanno la capacità di cambiare tutto: nascite, morti, incontri, intuizioni, scoperte. Nessuno può sapere se il prossimo momento sarà uno di quelli che aggiungerà una nota già sentita alla musica che stiamo già ascoltando o se invece interverrà una variazione, una stonatura, un nuovo strumento, un silenzio.

L’avvento è il tempo liturgico che ha la capacità di richiamarci su questa ambiguità della vita: ogni attimo dell’esistenza, di per sé così anonimo, può portare una venuta straordinaria in cui si nasconde una nuova modalità di farsi presente di Dio. Se infatti è vero che lui non abbandona mai il mondo a se stesso (né lascia noi soli), è vero anche che si fa presente sempre in modo nuovo, facendosi riconoscere nello stile e nelle parole con cui già si è fatto vedere altre volte, ma allo stesso tempo portando novità che sanno essere sconvolgenti.
Che succede se si vive la vita assopiti dal ritmo sempre uguale dei giorni e non si pensa più che ogni attimo possa nascondere altro? Che succede se, quando qualcosa di spaventoso o comunque di straordinario irrompe, non sappiamo ricondurlo alla presenza di Dio? Accade quello che Gesù descrive nel Vangelo: due uomini lavorano nel campo, ma solo uno viene preso. Due donne macinano, ma una sola viene presa. Il rischio, cioè, è di perdere l’occasione della propria liberazione e rimanere con un palmo di naso.
In mezzo alle vicende della vita, infatti, come un ladro di notte, sono in agguato quelle situazioni in cui Dio si fa liberatore potente per ciascuno. Può trattarsi di occasioni, doni, incontri, anche fatti gravi o tristi, o qualcosa che fa finire il nostro mondo, come un lutto, un tradimento, un fallimento. Queste realtà possono sommergerci come un diluvio ma diventano occasione di salvezza, se, come Noè, siamo pronti.
Il vero nemico – ci spiega il breve brano della lettera ai Romani – è il sonno, il torpore che ci distrae dallo scrutare lo scorrere del tempo alla ricerca della presenza di Dio, un torpore fatto di eccessi che stordiscono (orge, ubriachezze e lussurie…che oggi potrebbero essere anche la volgarità, la stupidità o semplicemente la superficialità) e di litigi e gelosie, che spostano l’attenzione da ciò che conta a piccinerie e ripicche: tutte cose che fanno tenere lo sguardo basso e accorciano la vista, facendoci vivere come se il momento di adesso fosse solo un momento fra i tanti e non potesse portare con sé l’avvento del Signore.
Al contrario, occorre ascoltare la voce delle Scritture e il richiamo dei profeti per ricordare che i giorni non sono eterni e che, pur così fragili e anonimi, nascondono infinite novità in cui Dio salva e ci conduce alla meta. Il cammino che facciamo infatti, come l’equipaggiamento di cui necessita e i sentimenti che l’accompagnano, dipende sempre dalla meta. L’avvento è il tempo in cui dobbiamo ricordarci con chiarezza che non stiamo vagando, ma puntiamo dritti al monte del Signore. Andiamo lì per vivere secondo la sua logica, per avere un giudizio equo sulla storia e per godere la pienezza della pace. Ogni istante, anche il prossimo, può nascondere per noi il venirci incontro della metà che attendiamo, proprio come accade quando, un passo dopo l’altro, improvvisamente, una curva della strada lascia intravvedere l’arrivo del viaggio per poi subito nasconderlo di nuovo, ridandoci però slancio e consapevolezza: siamo sulla strada giusta, siamo più vicini ora di quando abbiamo cominciato. Andiamo, allora, aguzzando la vista lungo la strada, perché non ci sfugga proprio ciò per cui ci siamo messi in viaggio: il Signore viene, nessuno sa quando, ma potrebbe essere anche adesso. Conviene stare pronti, per non perdere l’occasione della vita che in quell’unico istante fra tutti ci viene incontro.