Domenica di Pentecoste anno C
Domenica di Pentecoste
Anno C
(At 2,1-11 Sal 103 Rm 8,8-17 Gv 14,15-16.23-26)
Domenica 05 Giugno 2022
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Nel giorno di Pentecoste, quando l’opera della salvezza si compie e inizia il tempo in cui essa verrà testimoniata nelle parole e nel vissuto della chiesa, si mostra con ogni evidenza che la fede è una questione di amore e di vita. Nient’altro. Anzi, legare la fede ad altre cose non può solo oscurare questa radicale e semplicissima verità.
I segni portentosi, che nel genere letterario delle manifestazioni di Dio vogliono indicare che è accaduto qualcosa di straordinario (cioè che chi era presente ha compreso come straordinario), indicano l’azione di Dio su quelli che erano tutti insieme (gli undici, Maria, le discepole, i fratelli e le sorelle di Gesù: questi sono quelli nominati nel primo capitolo del libro degli Atti, cui dobbiamo aggiungere almeno Mattia chiamato a ricostituire il numero dei dodici al posto di Giuda e forse qualche altro, visto che Luca ci parla di un nucleo originario di 120 discepoli). La storia che i Vangeli raccontano si schiude in un momento che i discepoli sentono come unico e che dà l’avvio alla vita della chiesa: un vento portentoso spinge i discepoli e le discepole, riscaldati dal fuoco stesso di Dio, verso gli altri e fa annunciare (nella lingua che ciascuno è in grado di capire) la semplice verità della via cristiana e cioè, come dicevamo in apertura, che il mistero di Dio e il rapporto con lui si risolve nell’amore e nella vita.
Dell’amore ci parlano i pochi versetti del Vangelo di Giovanni. Amare è abitarsi reciprocamente. Chi ama si fa spazio per l’amato e allo stesso tempo chiede di essere ospitato. Così Dio, nel quale tutto vive, entra nel cuore di quelli che ama, perché in questa intimità, ciascuno di noi possa ascoltarlo, imparare e ricordare le sue parole, osservarle, viverle. L’amore di lui è ciò che ci spinge (lo Spirito è come un vento impetuoso che ci trascina): se lasciamo che ci invada non ci servirà altro perché ci condurrà infallibilmente alla vita.
Proprio di questa ci parla il brano della lettera ai romani, tratto dallo straordinario capitolo ottavo, quasi un inno alla vita cristiana animata dallo Spirito. Ciascuno di noi sa di essere dominato dalla carne (così comincia Paolo in questo brano), cioè ciascuno di noi sa bene quali ferite, quali debolezze, quali paure, quali incapacità, quali distorsioni, lo spingono lontano dalla parola ascoltata e da Dio. Dobbiamo sapere, però, che per sia quanto difficile e a volte molto doloroso la carne non ha dominio su di noi, perché noi siamo già possesso dello Spirito ed è lui il motore della nostra vita, il dominatore di tutto ciò che si agita in noi. La carne resta, a volte arriviamo a sperimentare la potenza della morte in quello che ci accade, ma lo Spirito è più forte: se anche fossimo morti per il peccato, lo Spirito che ci abita ci fa vivi perché ci restituisce la giustizia perduta e così, liberamente, possiamo scegliere le opere dello Spirito, cioè tutte quelle opere che danno vita a noi e ad altri. Si può sempre ricominciare, perché lo Spirito dà vita anche ai morti.
Questo Spirito però non è quello degli schiavi, ma dei figli, cioè delle persone libere e adulte che possono disporre dei doni e dell’eredità paterna che consiste in Cristo stesso: lo Spirito ci fa vivere come Cristo, partecipi delle sue sofferenze e della sua resurrezione, ci insegna tutto, fa sì che la parola di lui diventi la nostra stessa carne. Il segreto della vita cristiana consiste dunque nell’imparare ad ascoltare e seguire lo Spirito di Dio che dimora in noi e che impedisce alla carne di dominarci. Può darsi che non lo ascolteremo sempre, può darsi che ci confonderemo, ma – Gesù è stato chiaro – lo Spirito rimarrà per sempre e quindi, possiamo sperarlo con forza e sensatamente, finirà per piegare ciò che ci insegna la morte per rinnovarci continuamente e fino a donarci la pienezza della vita che in fondo altro non è che avere la libertà di amare fino alla fine, come Gesù. Il mistero di Dio è semplice, è una questione di amore e di vita: niente altro davvero.