Tag Archive » Domenica delle Palme

Home » Domenica delle Palme
09 - Apr - 2022

Domenica delle Palme anno C

Palme

Domenica delle Palme

Anno C

(Is 50,4-7   Sal 21   Fil 2,6-11   Lc 22,14-23,56)
Domenica 10 Aprile 2022

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La domenica delle Palme ci introduce alle settimana più importante dell’anno, nella quale celebriamo il mistero centrale della vita di Cristo e della nostra: il venerdì santo (che comincia nella sera del giovedì con il memoriale dell’ultima cena e prosegue nelle lunghe ore della passione), il sabato santo e la domenica di Pasqua sono i giorni centrali non solo dell’anno liturgico ma della vita di ogni credente. Qui sta tutto ciò che può salvarci e darci vita, qui sta il senso di ogni speranza e di ogni bontà, qui Dio stesso è visibile e vicino, proprio là dove temiamo di andare anche se sappiamo che vi andremo ineluttabilmente.

Il Vangelo che viene proclamato prima della celebrazione eucaristica racconta l’acclamazione della folla. Luca specifica che è la folla dei discepoli, non facendoci immaginare una folla esaltata e manipolata sul momento, ma una moltitudine di persone coinvolte nell’ascolto e nella sequela del maestro. Questi acclamano al Signore mite che cavalca l’asina, all’uomo pronto a sperare nella vita anche mentre viene gettato nella morte. Mettiamo noi stessi fra quelli che gridano entusiasti per quello che Gesù sta per vivere, non perché non sia un abominio fare del male ad un uomo (fra l’altro buono e innocente), ma perché il Signore attraversa ogni male possibile mostrandoci come questo possa essere ridotto a nulla. Esaltiamo dunque la sua sapienza, il suo coraggio, la sua speranza e facciamole nostre mentre contempliamo il racconto della passione, entrando dentro le pieghe dei suoi sentimenti e del suo stile non per compatirlo o vivere una sentimentale partecipazione, ma per intuire come lo Spirito lo abbia condotto alla vita proprio mentre la morte lo stringeva da ogni parte. E fare anche noi così.

Anzitutto lo Spirito riempie Gesù di desiderio (ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi) perché non c’è amore senza passione e senza desiderio e il Signore ama. Poi lo riempie di preoccupazione per i suoi ai quali lascia il gesto del pane spezzato perché comprendano ciò che sta per accadere, che cerca di ammonire sul tradimento e sul rinnegamento e che istruisce per l’ultima volta sulla logica fraterna: non è possibile seguire il Vangelo facendosi più grandi di qualcuno, nemmeno se ci si fa grandi benefattori; potere e gerarchia non sopportano l’amore e la fraternità. E poi “basta”. Lo Spirito insegna a Gesù il suo limite: non può dire più niente per aiutare i suoi, ha esaurito parole e gesti. Tocca solo entrare nella lotta con l’ingiustizia, l’odio e il male che gli vengono rovesciati addosso. E così prega, soffrendo, che sia fatta la volontà del Padre. Qui lo Spirito insegna a Gesù la speranza: se lui potesse eviterebbe la sofferenza che lo aspetta, ma anche se non può evitarla, può ancora sperare che in essa si compia la volontà del Padre e così la morte si trasformi in vita. La volontà di morte è quella degli uomini (Pilato lo consegnò al “loro” volere), Dio invece vuole sempre la vita. Questa speranza rende il volto di Gesù duro (così come ci racconta la prima lettura) e gli permette di attraversare persino la croce (seconda lettura).

Giudicato per tre volte, accusato, visto come un fenomeno da baraccone da Erode, sbeffeggiato, trovato innocente eppure condannato: tutti questi passaggi mostrano quante volte chi ha ucciso Gesù aveva avuto l’occasione di tornare indietro e non l’ha fatto. Spesso chi fa il male non vuole mettersi in discussione, ma giustificarsi e così persevera al punto da compiere atti sempre più gravi e irreparabili, ma anche così fosse sempre Dio dona sempre l’occasione del pentimento o di riscattarsi compiendo il bene possibile, fosse anche solo una parola di giustizia e di comprensione, mentre si viene giustamente crocifissi per il male fatto. Il malfattore trova una giustizia che i capi religiosi e i governanti non hanno trovato, tutti presi dal loro ruolo e dal salvare il proprio potere, ma – aveva detto Gesù – “tra voi non sia così”: se non avremo bisogno di difendere noi stessi, ruoli, poteri, immagine, saremo liberi, anche avessimo sbagliato quanto il malfattore, di trovare la via del paradiso.

E dopo che lo Spirito ha compiuto la sua opera, insegnando il perdono per chi lo uccide e la promessa di vita per chi lo consola, Gesù consegna lo Spirito al Padre: consegna l’amore che lo fa vivere e quindi muore. Tutto si sconvolge: la natura, il tempio, la folla. Il mondo perde il suo senso, smarrito precipita nelle tenebre. Ma il grido di Gesù è stato udito: si può aspettare la risposta del Padre. Per questo le discepole guardano dove è stato sepolto. Torneranno. La storia non è ancora finita.

26 - Mar - 2021

Domenica delle Palme (B)

Domenica delle Palme (B)

(Is 50,4-7   Sal 21   Fil 2,6-11   Mc 14,1-15,47)
Domenica 28 Marzo 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Quest’anno riviviamo i momenti della passione del Signore ascoltando il racconto tracciato da Marco, che delinea una progressiva ed impietosa spoliazione di Gesù. Lui, ricco di parole bellissime, autore
di segni, circondato di discepoli, seguaci e folle intere (che in questa domenica ricordiamo mentre lo acclamano messia), invincibile nelle dispute e profeta autorevole, viene spogliato di tutto ciò che è
stato e ha vissuto. Mentre condivide con i suoi il segno del pane e del vino, che doveva aiutarli a vedere nella sua morte il dono di vita che lui stava facendo, Giuda ordisce il tradimento. Gesù viene denudato degli amici più cari: Giuda tradisce, quelli che portava sempre con sé non riescono a nemmeno a vegliare mentre lui perde la pace preso dall’angoscia, infine tutti fuggono.
Così solo, in balìa delle guardie, viene messo sotto giudizio, privato dell’innocenza che non gli viene più riconosciuta e violato nella sua più  profonda interiorità: il suo essere Figlio viene definita una bestemmia, come se l’amore del Padre per lui fosse un abominio.
Pilato, troppo vigliacco per esercitare il potere che gli era stato dato, fa decidere la folla sul destino di Gesù e la folla, volubile e crudele, preferisce un assassino, spogliando Gesù del riconoscimento messianico precedentemente accordato. I discepoli, il sinedrio e ora il popolo lo hanno abbandonato nelle mani dei romani e i romani lo spogliano della dignità e della vita: lo insultano, lo torturano, lo spogliano, quindi lo crocifiggono. Sulla croce, equiparato ai malfattori, viene spogliato dei tanti segni fatti per mostrare l’amore del Padre: ha salvato tanti, salvi se stesso!
Ma Gesù sa che non può salvare nessuno, sa che solo il Padre operava in tutto quello che lui faceva, che ogni segno era opera sua e ogni
parola una parola sua. Solo il Padre può salvare. Allora Gesù grida l’abbandono di Dio: perché mi hai abbandonato? Inizia il salmo che
finisce col riscatto e la vita, ma non arriva a dirlo tutto, muore gridando l’abbandono. Perché allora il centurione lo riconosce proprio
ora, come Figlio di Dio? Perché quel grido dice chi è Gesù: lui grida verso il Padre perché sa che il Padre l’ascolta. Il Signore muore come ha vissuto, come il Figlio amato. Tutto questo che gli uomini gli fanno non può togliergli l’unica cosa che conta. E grida, come Israele in Egitto, come il cieco di Gerico, come quelli che gli erano prostrati davanti supplicandolo di guarirli, come il lebbroso e la donna sirofenicia: grida al Padre.
In questo momento, spogliato di tutto, a Gesù resta solo una cosa: il suo essere figlio e da figlio, rivolto al Padre, muore. Questo grido
squarcia il velo del tempio, il grembo stesso di Dio, che non può non rispondere a questa invocazione, e allo stesso tempo tocca il cuore
del centurione che comprende l’identità profonda di Gesù.
Le donne guardano da lontano, quelle discepole che lo avevano seguito (il verbo della sequela usato per i discepoli) e lo avevano servito
(il verbo del servizio che Gesù attribuisce a se stesso e a quelli che vogliono essere i più grandi nel regno) e molte altre che erano salite dalla Galilea a Gerusalemme (Marco usa qui un’espressione che gli Atti degli apostoli usano per i testimoni apostolici). Su due di queste donne, che guardano la pietra rotolare davanti all’entrata del sepolcro, la scena si chiude. Loro non se ne sono andate, sono rimaste. Hanno fissato lo sguardo sul dolore e sulla spoliazione di lui, perdendo ciò che non poteva essere sostituito e cui niente poteva essere paragonato: Gesù stesso. E, di nuovo ora, caparbie, vanno al sepolcro: c’è ancora un corpo da onorare e lo faranno.
Il loro amore non è superficiale e inaffidabile come quello della folla, la loro fedeltà non conosce rinnegamento né fuga, la loro pena
non le distrae: c’è ancora un corpo da onorare. Giustamente il Signore stesso premierà questo amore incrollabile mostrandosi a loro Risorto.
Tanto amore merita di essere premiato. Proprio come aveva premiato la donna che l’aveva unto in vista della sua sepoltura sprecando tanto
olio prezioso: ha fatto quanto era in suo potere per trattarlo con pietà e rispetto, dovunque verrà annunciato il Vangelo si racconterà
anche ciò che ella ha fatto. In fondo, alla fine dei conti, davanti a Dio vale solo l’amore sprecato sugli altri: Gesù lo sa bene e se lo
ricorda anche mentre viene abbandonato e denudato. Forse sente ancora addosso, mischiato con quello dolciastro del sangue, il profumo buono dell’olio di lei e si ricorda di essere l’amato del Padre: per questo grida, costringendoci ad aspettare, con le donne, ciò che il Padre risponderà.