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03 - Dic - 2022

II Domenica di Avvento anno A

Avvento

II Domenica di Avvento

Anno A

(Is 11,1-10   Sal 71   Rm 15,4-9   Mt 3,1-12)
Domenica 04 Dicembre 2022

Enzo Bianchi

Le immagini della predicazione di Giovanni il Battista sono dure, destano timore, ma in realtà sono quelle tipiche di tutti i profeti, che hanno annunciato il giorno del Signore. Il Battista però non vuole che l’attenzione si concentri su di sé e tanto meno vuole apparire lui come il Giudice: costui è veniente, anzi sta dietro a lui ed è più forte di lui. Colui che viene è il Giudice che immerge non in acqua, ma nel fuoco escatologico dello Spirito di Dio: non più un rito, ma un evento ultimo e definitivo. Giovanni fa l’ultima chiamata alla conversione, prima della venuta del regno dei cieli ormai imminente; nello stesso tempo, manifesta la sua fede in Gesù, già presente tra i suoi discepoli, che presto sarà manifestato a Israele come “il Veniente”.

Brevi note sulle altre letture bibliche
Isaia 11,1-10
Quando il popolo di Israele è invaso, minacciato dalle potenze di questo mondo ed è diventato come un albero abbattuto, ridotto a un tronco (cf. Is 6,13), ecco l’azione di Dio: da quel tronco fa spuntare un germoglio che si nutrirà della linfa dell’albero abbattuto. Giunge dunque un discendente di Iesse, un nuovo David ricolmo dei doni dello Spirito di Dio: il suo respiro sarà il timore del Signore, la piena obbedienza a lui e alla sua volontà. Per questo sarà un giudice che non guarda alle apparenze, ma non sarà neppure bendato, perché vedrà nel cuore degli umani e inaugurerà un tempo nel quale giungerà la pace cosmica e la conoscenza del Signore riempirà la terra. Oggi, come allora, attendiamo questo compimento, sapendo che il discendente di Iesse ha un volto: quello di Gesù di Nazaret, il figlio di David, il Messia del Signore.

Lettera ai Romani 15,4-9
L’Apostolo ricorda ai cristiani che, nelle difficoltà della vita comunitaria, nelle tensioni tra forti e deboli, tra conservatori e innovatori, nei conflitti che possono sorgere anche tra discepoli di Gesù, occorre che ognuno accolga l’altro come fratello o sorella, cercando di assumere i sentimenti e i pensieri di Cristo. Ognuno è stato accolto, carico dei propri debiti, da Cristo, che lo ha perdonato e gli ha usato misericordia, e lo stesso deve fare nei confronti dell’altro, nella speranza della venuta del Signore. La parola di Dio contenuta nelle Scritture sempre ci illumina, ci sostiene, ci consola, ci indica il compimento della promessa del Signore, il suo giorno.
* * *
Prima della venuta del Signore, del giorno del Signore, secondo alcuni esperti delle sante Scritture sarebbe venuto il profeta Elia per preparare il popolo all’incontro con Dio, Salvatore e Giudice. Questa speranza è confermata da Gesù, che però invita a discernere tale presenza profetica in Giovanni il Battezzatore, venuto tra quelli che non l’hanno riconosciuto ma hanno fatto di lui ciò che hanno voluto (cf. Mt 17,10-13). Proprio perché nell’Avvento si attende la venuta del giorno del Signore, e dunque del Figlio dell’uomo, la chiesa ci fa sostare sul ministero di Giovanni: ministero di preparazione della strada per la manifestazione di Gesù a Israele. La sua predicazione, infatti, è più che mai attuale in questo tempo “ultimo”, in cui il Signore viene.

“Giovanni sopraggiunge” (paraghínetai) come predicatore nel deserto della Giudea, a sud-est di Gerusalemme, nelle terre attorno al Giordano, affluente del mar Morto. Sembra un profeta dell’antica alleanza, e lo è dopo almeno cinque secoli di silenzio della profezia nel popolo di Dio. Ha i tratti del profeta Elia: un vestito di peli di cammello (cf. 2Re 1,8; Zc 13,4), una cintura di cuoio, un nutrimento ascetico fornitogli dai frutti del deserto. Come Elia, chiama il popolo alla conversione, a ritornare al Signore prima del suo giorno: “Convertitevi, perché il regno dei cieli si è avvicinato!”. A questo annuncio nuovo le folle accorrono da Gerusalemme e dalla Giudea, accogliendo l’invito del profeta: confessano i loro peccati, si fanno responsabili davanti a Dio del male operato, si pentono e con un’azione decisa e vissuta, l’essere immersi da Giovanni nelle acque del Giordano, testimoniano la loro purificazione e il loro mutamento di vita. È come un nuovo inizio, anche perché Giovanni appare come il profeta designato da Isaia quale annunciatore della definitiva liberazione, del nuovo esodo, della creazione di cieli nuovi e terra nuova (cf. Is 40,1-11).

Giovanni dunque è ascoltato dalle folle, ma sa anche discernere al loro interno quanti ricorrono a lui solo per soddisfare la propria religiosità: sono persone che in realtà non si convertono, non cambiano vita e modo di pensare, ma sono sempre disponibili a vivere riti e a compiere ciò che la religione richiede. Matteo identifica queste persone in farisei e sadducei (attenzione a non tipizzare, soprattutto il primo gruppo!), cioè negli uomini religiosi esperti della dottrina e zelanti nel loro comportamento secondo la Legge. Ecco allora l’invettiva del Battista: “Razza di vipere (cf. Sal 140,4)! Chi è il vostro vero suggeritore? È colui che vi ispira di sfuggire alla passione per la giustizia di Dio, fingendo e aumentando le azioni rituali?”. Sono credenti che non ascoltano le parole di Giovanni, non riconoscono in lui le parole del Signore, eppure vengono al suo battesimo… Per loro il rito va benissimo, mentre fare la volontà di Dio e vivere ciò che il rito dovrebbe significare, no! Hanno dentro di sé certezze: sono figli di Abramo, hanno il senso dell’appartenenza al popolo eletto e scelto da Dio, sanno invocare Dio come il Dio con loro. Giovanni però con la sua predicazione manda in frantumi queste certezze e garanzie: “Non crediate di poter dire dentro di voi: ‘Abbiamo Abramo per padre!’, perché Dio può creare figli di Abramo dalle pietre del deserto”. Ormai il giorno del Signore è vicino e il Giudice si sta manifestando come una scura che abbatte alla radice l’albero che non dà frutti buoni, destinandolo al fuoco.

Le immagini della predicazione del Battista sono dure, destano timore, ma in realtà sono quelle tipiche di tutti i profeti, che hanno annunciato il giorno del Signore a quanti contraddicevano la sua volontà vivendo invece formalmente (cioè da ipocriti!) l’alleanza con Dio. Giovanni mette in luce quella rottura che sarà portata a pienezza da Gesù: rottura con i legami di sangue, con l’appartenenza etnica. Figli di Abramo lo si è non per appartenenza carnale, ma perché si vive l’obbedienza e l’adesione a Dio da lui vissute, dirà Paolo (cf. Rm 4,1-3; Gal 3,6).

Giovanni però non vuole che l’attenzione si concentri su di sé e tanto meno vuole apparire lui come il Giudice: costui è veniente, anzi sta dietro (opíso) a lui ed è più forte di lui. Il Battista non si sente nemmeno degno di essere suo servo, portandogli i sandali. Colui che viene è il Giudice che immerge non in acqua, ma nel fuoco escatologico dello Spirito di Dio: non più un rito, ma un evento ultimo e definitivo. Giovanni fa dunque l’ultima chiamata alla conversione, prima della venuta del regno dei cieli ormai imminente; nello stesso tempo, manifesta la sua fede in Gesù, già presente tra i suoi discepoli, che presto sarà manifestato a Israele come “il Veniente” (ho erchómenos: Mt 11,3; 21,9; 23,39). Solo a lui spetta il giudizio definitivo, descritto dal suo precursore con un’immagine apocalittica: “Tiene in mano il ventilabro, per separare la pula dal buon grano. Al passaggio del vento la pula sarà portata via e poi bruciata, mentre il grano sarà raccolto nei granai”.

Sì, di fronte a questi annunci e a queste immagini è doveroso provare sentimenti di timore. Il giudizio è un evento serio ma, quando avverrà, sarà nient’altro che la manifestazione di ciò che ciascuno di noi ha operato ogni giorno, scegliendo il bene o il male. Siamo noi stessi a darci il giudizio, ora e qui: il giudizio non è una spada di Damocle che pende sulla nostra testa, ma un evento che decidiamo oggi. Ecco come la chiesa ci attualizza la predicazione di Giovanni il Battista sulla venuta gloriosa del Figlio dell’uomo.

24 - Nov - 2022

I Domenica di Avvento anno A

Avvento

I Domenica di Avvento

Anno A

(Is 2,1-5   Sal 121   Rm 13,11-14   Mt 24,37-44)
Domenica 27 Novembre 2022

L’arte dell’attesa  di Enzo Bianchi

Di fronte a questo vangelo la comunità cristiana prova sentimenti di imbarazzo: esita a essere convinta che il Signore viene nella gloria, non pensa che ci sia veramente una fine del tempo e non ha più nel cuore il desiderio bruciante di vedere il Signore. Eppure basterebbe essere più attenti nel leggere la vita che trascorre, la propria e quella degli altri accanto a noi, per renderci conto come ogni giorno, se non siamo distratti, inesorabilmente siamo ricondotti all’evento che ci attende: l’incontro con il Signore.

Inizia un nuovo anno liturgico nel quale, domenica dopo domenica, ascolteremo il vangelo secondo Matteo. Ma inizio e fine di un anno liturgico possono solo mettere davanti a noi ciò che sta sempre nel nostro futuro: la venuta del Figlio dell’uomo, il nostro incontro con lui. Il nostro Dio è il Signore “che è e che viene” (Ap 4,8), perché è già venuto nella carne fragile e mortale di Gesù, il figlio di Maria morto e risorto, viene in ogni ora nella vita del discepolo per attirarlo a sé, verrà nell’ora dell’esodo di ciascuno di noi da questo mondo, alla fine dei tempi, per introdurci tutti e definitivamente nel suo Regno di pace e di vita piena. Gesù è “il Veniente” (ho erchómenos: Ap 1,4.8; 4,8), e il suo giorno, “il giorno del Signore” (jom ’Adonaj, kyriakè heméra), sarà la parousía, la manifestazione ultima e definitiva.

Nel brano evangelico odierno ascoltiamo parole di Gesù dette non alle folle ma in disparte, solo ai discepoli (cf. Mt 24,3), al “piccolo gregge” (Lc 12,32), nelle ore che precedono la sua fine, attraverso l’arresto, la condanna e la morte. Sul monte degli Ulivi, a est di Gerusalemme, dove si contempla la città santa e il tempio nel suo splendore, Gesù avverte: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo conosce, è un termine fissato alla storia che solo Dio conosce” (cf. Mt 24,36). Per questa ignoranza da parte degli umani, quando ci sarà la parousía, la venuta del Figlio dell’uomo, regneranno l’indifferenza, la distrazione, il non sapere. Gesù dice queste parole con tristezza, ma sa che per l’umanità è sempre come ai tempi di Noè, quando venne la grande inondazione e colse l’umanità impreparata.

Nel libro della Genesi (cf. Gen 6,5-9,17), il diluvio universale è presentato come castigo di Dio su un’umanità da lui creata ma diventata malvagia, violenta. Decodificando quel testo, possiamo comprendere che, allora come oggi, a volte sembra prevalere su tutto la violenza, l’immoralità, la perdita della dignità umana e della fraternità. In questo caso emerge con evidenza che le scelte di uomini e donne sono mortifere, che il comportamento umano sfigura la terra in un modo devastante, ben rappresentato dalle acque del diluvio o dal deserto che avanza. E di fronte a eventi che fanno prendere coscienza della nostra responsabilità, si manifesta come gli umani siano stati fino all’ultimo distratti, incapaci di capire ciò che stavano preparando con il loro comportamento.

Gesù non dice che la generazione nella quale avverrà “il giorno del Signore” sarà immorale o particolarmente perversa, ma ne denuncia solo l’indifferenza. Sono uomini e donne che vivono: nascono, crescono, si innamorano, si sposano, mangiano e bevono… Sì, vivono, e su questo loro vivere Gesù non pronuncia condanne, proponendo loro un programma ascetico. Denuncia solo la “non conoscenza” (ouk égnosan), il non essere pronti, l’essere indifferenti a ciò che invece va cercato prima di tutto ed è essenziale a una vita veramente umana, che risponda alla volontà e alla vocazione del Creatore.

Dunque nessun castigo da parte di Dio, ma semplicemente la manifestazione della situazione in cui si trova l’umanità di fronte alla presenza e alla venuta del Figlio dell’uomo. Purtroppo noi oscilliamo tra febbre apocalittica con predizioni catastrofiche, e indifferenza verso questo evento che, tardando così tanto, pensiamo non ci debba tormentare. Ma questo evento non può essere da noi rimandato alla fine della storia, quasi pensando che non ci riguardi, perché in realtà nell’esodo di ciascuno di noi, nel passaggio da questo mondo all’al di là della morte, saremo messi di fronte alla presenza del Figlio dell’uomo veniente nella gloria. Accadrà dunque che tutto si consumerà quando impareremo dagli eventi che la morte arriva per gli uni prima che per gli altri, sicché chi è con noi al lavoro può essere preso e noi lasciati in vita, o viceversa. Non c’è la stessa ora per tutti, non c’è la stessa occasione per tutti, ma per tutti c’è una fine! Anche questo dovrebbe essere di insegnamento, quasi profezia del giudizio di Dio, quando avverrà una separazione tra quelli che entreranno nel Regno, perché esercitati nella comunione con gli altri, e quelli che non potranno entrare, perché non hanno voluto conoscere la comunione con gli altri ma si sono nutriti di philautía, di amore egoistico di sé. Come nelle sette lettere alle chiese dell’Apocalisse (cf. Ap 2-3), il Signore viene e la sua venuta è giudizio in ogni istante!

Occorre dunque essere a conoscenza del piano di salvezza di Dio, occorre vegliare e tenersi pronti. Come un padrone di casa che sa che il ladro verrà nella notte: che cosa farà? Veglierà, starà sveglio e in attesa, in modo da non lasciare che la sua casa venga scassinata. Ecco la postura del discepolo: sa che il Figlio dell’uomo viene, anche se non conosce l’ora della sua venuta, e forte di questa consapevolezza vive nella vigilanza, nell’attesa. Non si lascia andare, non si distrae, ma pur vivendo umanamente bene, continua a vigilare per aprire prontamente al Signore quando arriverà; verrà sorprendendoci, ma, proprio perché atteso, sarà anche accolto prontamente e con grande gioia.

In ogni caso, di fronte a questo vangelo – dobbiamo confessarlo – la comunità cristiana prova sentimenti di imbarazzo: esita a essere convinta che il Signore viene nella gloria, non pensa che ci sia veramente una fine del tempo e non ha più nel cuore il desiderio bruciante di vedere il Signore. Come diceva Ignazio Silone: “I cristiani dicono di attendere il Signore, e lo aspettano come si aspetta il tram!”. Eppure basterebbe essere più attenti nel leggere la vita che trascorre, la propria e quella degli altri accanto a noi, per renderci conto come ogni giorno, se non siamo distratti, inesorabilmente siamo ricondotti all’evento che ci attende: l’incontro con il Signore. Siamo ricondotti a comprendere che noi, pur vagabondi e mendicanti sulla terra per un pugno di anni – “settanta, ottanta se ci sono le forze” (Sal 90,10) –, in quel giorno avremo bisogno solo della misericordia del Signore.