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29 - Gen - 2021

IV Domenica T.O. (B)

Tempo Ordinario

IV Domenica T.O. (B)

(Dt 18,15-20   Sal 94   1Cor 7,32-35   Mc 1,21-28)
Domenica 31  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Gli esseri umani tendono a farsi di Dio un’immagine comoda in cui normalmente si possono riflettere e che li rassicura, era così con gli antichi che scolpivano idoli da gestire a proprio piacimento, è così per noi che proiettiamo su Dio i nostri desideri o i nostri bisogni. Il Dio vivo invece sfugge ad ogni immagine e proiezione, perché parla, dice di sé e chiama a sé. La sua parola però – almeno così sperimenta Israele nel deserto – non può essere ascoltata direttamente dagli esseri umani. Essa scava troppo a fondo, estirpa violentemente il male, fa crescere senza soste ciò che è buono: come di fronte a troppa bellezza o a troppo orrore gli esseri umani si difendono, perché è qualcosa che non si può reggere.

Allora Dio prende uno (o una) dal popolo perché dica le sue parole, così queste saranno suoneranno in una lingua nota e saranno a misura di chi le deve ascoltare. Come fanno le mamme quando parlano con i bambini piccoli e imparano a comunicare (nemmeno loro sanno come) con piccoli versi, per poi assumere il linguaggio misterioso dei piccoli che dicono le prime parole, trovando un nome nuovo alle cose e alle azioni. Come le madri, anche Dio è naturalmente poliglotta e così mette le sue parole in bocca ai profeti, perché parlino tutte le lingue e arrivino a chi le ascolta e, come accade ai bambini, insegnino in modo elementare un linguaggio che diventa una lingua capace di descrivere tutta la realtà.
In questo brano del Vangelo di Marco Gesù è il profeta che insegna con autorità, superiore a tutti gli altri, perché è più evidente che ciò che dice viene da Dio: è evidente per il modo in cui insegna, per la vita che vive e che rispecchia perfettamente quanto insegna, ma soprattutto è evidente nei frutti che porta, perché la sua parola fa vivere, guarisce e libera dai tanti spiriti impuri che ci tengono prigionieri (paura, orgoglio, giudizio, gelosia, odio, divisioni, disperazione, avidità, violenza, ingiustizia: in una triste e lunga lista che potremmo continuare). Un esempio di questa liberazione (anche se molto distante dal nostro tempo) ci è offerta nella seconda lettura, troppe volte letta come una specie di disprezzo del matrimonio e di esaltazione della condizione celibataria. In realtà Paolo, quando dice che chi non è sposato ha meno preoccupazioni perché può pensare solo al Signore (rivolgendosi in modo particolare alle donne perché queste sposandosi finivano a tutti gli effetti sotto il dominio del marito), denuncia il rischio di relazioni ricattatorie e soffocanti, in cui qualcuno esercita il potere su qualcun altro. Questo tipo di relazioni si può avere fra marito e moglie, ma anche fra genitori e figli, sul lavoro e anche nei conventi. Paolo insegna dunque a tutti la libertà: nessuna relazione deve dividerci il cuore (che non è affatto diviso quando si ama qualcuno perché amare il prossimo e amare Dio sono la stessa cosa) significa che non si deve essere in potere di nessuno. Se finiamo infatti per vivere in modo da accontentare qualcuno, finiremo per farci un’immagine di Dio funzionale ai padroni che vogliamo servire o agli spiriti impuri che ci tengono soggiogati (e che spesso ci spingono ad accettare il padrone di turno), mentre essere liberi ci permette di ascoltare la parola che Dio dice perché ci salvi e ci conduca come un gregge al suo pascolo dove nutrirsi e riposare. Che il Signore zittisca (Taci!) ogni spirito impuro che parla in noi per ascoltare finalmente solo ciò che lui ha da dire e trovarci a godere tutta la bellezza della sua libertà.