II Domenica di Avvento anno C
II Domenica di Avvento
Anno C
(Bar 5,1-9 Sal 125 Fil 1,4-6.8-11 Lc 3,1-6)
Domenica 5 Dicembre 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Che cosa stiamo attendendo? La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci racconta di un popolo su una strada. È un popolo che ha vissuto l’esilio, è stato umiliato e ferito, ha il cuore e i ricordi pieni di lutti e dolore. Ora questo popolo viene ricondotto a casa. Un annuncio di gioia, di ritorno, di guarigione e consolazione profonda. Forse il primo passo di questa domenica è accorgerci che siamo in esilio, guardare senza veli le ferite e i fallimenti che sperimentiamo, i lutti e le paure (personali, ecclesiali e sociali): fare verità senza sconti e senza mezze illusioni. E a questo punto l’annuncio di un ritorno forse ci sembrerà impossibile: come ricominciare, come rallegrarsi di nuovo?
La voce di Giovanni nel deserto però ci provoca. La conversione è sempre possibile: aprire il cuore alla logica di Dio, farsi perdonare l’imperdonabile e accettare dalle sue mani una nuova possibilità di vita, perché – così il brano della lettera ai Filippesi – Dio porterà a compimento l’opera buona che ha iniziato in noi. Non c’è soltanto l’esilio e il fallimento (che pure bisogna guardare e riconoscere), c’è anche l’opera buona che Dio ha iniziato in noi e che si cura di portare a compimento: non possiamo fare nulla che lo distolga dal proposito di condurci alla vita.
E così la bellissima prima lettura, tratta dal profeta Baruc, ci dà qualche dettaglio sul cammino che ci attende. Mentre camminiamo feriti e umiliati lontano dall’esilio, Dio stesso prepara un trionfo, spiana le montagne davanti ai nostri passi perché il cammino sia piano e diritto, colma ogni valle perché si possa andare sicuri, persino le selve invece di minacciare diventano riparo ombroso dal calore. Non siamo abbandonati lungo la strada, il rientro non dipende dalle nostre abilità, partire e decidere di camminare dipende da noi (crescere ad ogni passo nella carità e nel discernimento, ci dice ancora la lettera ai Filippesi), ma il cammino è preparato e custodito e l’esilio ci sta alle spalle.
Davanti a noi l’immagine bellissima di Gerusalemme che come una madre che esce dal lutto, si riveste a festa e si alza ad accogliere i figli che credeva morti. Potremmo vedere in questa immagine la chiesa, che attende di diventare ciò di cui il mondo ha bisogno: il segno visibile ed efficace della comunione che Dio realizza con gli esseri umani e fra gli esseri umani. La chiesa (noi), oggi così affaticata, spesso poco credibile, abbarbicata in difesa di un tempo finito e persino a volte lontana dal Vangelo, si alza in piedi pronta ad accogliere ciascuno di noi che torna per renderla ciò che deve essere: il popolo di Dio in mezzo agli esseri umani, perché tutti possano sperare, trovare pace, vivere. Il segno credibile dell’amore del Padre.
Non importa quanto è stato lungo l’esilio né quanto abbiamo pianto: “Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui”. Questo attendiamo.