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30 - Dic - 2020

Maria Santissima madre di Dio

Madre di Dio - p.M.Rupnick

Maria Santissima madre di Dio

(Nm 6, 22-27   Sal 66   Gal 4,4-7   Lc 2,16-21)
Venerdì 1  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

I pastori andarono, videro il bambino, riferirono quanto gli angeli avevano detto su di lui. Tutti si stupiscono e Maria custodisce tutto nel cuore, meditandolo, come se ci fosse un segreto ulteriore da scoprire, qualcosa da riprendere più e più volte, con calma e in silenzio. I pastori se ne tornano, glorificando e lodando Dio per quello che hanno udito e visto, come era stato detto loro.

Scorrendo queste poche parole del Vangelo di Luca dobbiamo chiederci come stiamo di fronte a questo bambino. Siamo quelli che si stupiscono di quello che viene detto? O siamo Maria, consapevoli che non riusciamo a capire tutto, ma che questo mistero è decisivo per la nostra vita e merita di essere custodito? Oppure siamo i pastori che hanno visto proprio quello che era stato detto loro e ora tornano alla vita lodando Dio?
Potremmo cominciare con lo stupirci. Stupiamoci dell’amore di Dio, del suo immergersi nell’umano per fare di noi i suoi figli. Lo Spirito che ha abitato Gesù (leggiamo questo nei pochi versetti della lettera ai Galati) ci invade e così ci fa essere come lui: figli del Padre. Siamo, come lui, figli di Dio.
Lo stupore di fronte a questo dono ci condurrà al silenzio grato e meditabondo di Maria. Che Maria fosse silenziosa è uno stereotipo odioso che pervade la nostra tradizione, ma qui possiamo pensarla in quel silenzio di chi ha bisogno di assimilare qualcosa troppo grande, al punto da doverlo accantonare in fondo al cuore per poi ritirarlo fuori al momento opportuno. Magari questo anno che comincia potrebbe condurci per le vie della meditazione quotidiana della Parola di Dio e del suo mistero, in modo da meditare e custodire il dono ricevuto: così lo stupore non rimarrà la fugace emozione di un giorno, ma si tradurrà in gesti e pensieri nutriti da ciò che abbiamo saputo guardare e ascoltare.
E arriviamo ai pastori. Anche noi, come loro, abbiamo visto e udito. Che cosa ci era stato promesso? Un nuovo inizio, un dono che ci viene incontro e che – guardando bene – è già in mezzo a noi, offerto a ciascuno perché viva. Ora abbiamo occhi per vedere (o dovremmo averli), perché abbiamo celebrato la nascita di Cristo e abbiamo visto l’inizio della sua storia. Ora sappiamo che Dio ci ha rivolto il suo volto e ci ha benedetti (prima lettura) perché ha condiviso tutta la nostra vita e in questo modo ci ha indicato la via della salvezza. Custodia, amore benevolo e pace: ora sappiamo che Dio si volge a noi in questo modo. Lo abbiamo capito guardando questo bambino nel quale tutto l’amore di Dio e ogni possibilità di vita si fanno palpabili.
Dio ci volge il suo volto, un volto umano, un volto bambino, un volto mite e ordinario, un volto che possiamo guardare senza paura e che può diventare il nostro stesso volto se avremo l’amore necessario per seguire questo bambino. Dio ci volge il suo volto e ci benedice: lo fa sempre, anche in mezzo alle vicissitudini sfavorevoli della vita, in mezzo alle difficoltà e persino di fronte alla morte. Abbiamo visto nascere il bambino che ci mostra il volto di Dio: come i pastori ce ne torniamo alle nostre vite, al nostro anno (comunque sarà) benedicendo e lodando Dio.
26 - Dic - 2020

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (B)

Sacra Famiglia - p.M.Rupnik

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

(Gen 15,1-6; 21,1-3   Sal 104   Eb 11,8.11-12.17-19   Lc 2,22-40)
Domenica 27 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Le letture di questa festa ci presentano due famiglie a confronto: quella di Abramo (prima e seconda lettura) e quella in cui è nato Gesù (Vangelo). In entrambe lo straordinario delle promesse di Dio e della sua opera si compie nell’ordinaria vicenda della nascita di un bambino. Per entrambe non fu facile: Abramo e Sara (che rise incredula di fronte alla profezia dei tre uomini alle querce di Mamre) tentarono di realizzare la promessa di Dio tramite una schiava da cui nacque Ismaele per poi cacciarli entrambi a causa delle gelosie sopraggiunte. Maria e Giuseppe, da parte loro, hanno dovuto scoprire chi fosse il loro bambino.

Ogni genitore scopre i propri figli non solo guardandoli crescere, ma ascoltando ciò che altri vedono e dicono su di essi: parenti, amici, insegnanti e molti altri. Il mistero di coloro che nascono da noi è noto solo a Dio e ogni giorno ne scopriamo un po’  anche ascoltando ciò che altri, da altre prospettive, vedono. Noi siamo troppo coinvolti, siamo un corpo solo con i nostri figli, abbiamo bisogno di ciò che altri intuiscono per assumere uno sguardo più contemplativo, meno sicuro di ciò che già crediamo di conoscere da sempre.
E così Luca ci racconta che Giuseppe e Maria, proprio facendo ciò che dei bravi israeliti devono fare (vivendo l’ordinario cioè), incontrano Simeone che profetizza e benedice, dicendo che questo bambino è il Messia. Il padre e la madre di Gesù si stupivano – annota Luca – di ciò che si diceva del bambino. E – continua l’evangelista – a questo punto Simeone dice a Maria che Gesù sarà un segno di contraddizione, cioè il popolo e le genti si divideranno davanti a lui in chi lo accoglie e in chi lo rifiuta (e questo svelerà il cuore di ciascuno), quindi fermando lo sguardo su di lei aggiunge: anche a te una spada trafiggerà l’anima. La spada affilata nella Scrittura è la parola di Dio, anche Maria – forse lei più di tutti perché immersa nell’ordinario rapporto con suo figlio che le impedisce di vedere subito ciò che altri vedono – dovrà ascoltare la parola e lasciarsi penetrare l’anima fino in fondo per riconoscere in questo bambino la luce delle genti e la gloria di Israele. E avrà bisogno di tempo e di ascolto e ciò che altri, come Simeone e come la profetessa Anna, ma prima ancora i pastori, vedono. Se il cuore di lei si lascerà penetrare dalla Parola comprenderà chi è Gesù e ne comprenderà la missione: non credo per lei fosse più facile, ma più difficile, perché doveva abbandonare l’ordinaria conoscenza di anni in cui Gesù era stato semplicemente suo figlio. E infatti troviamo più volte nei Vangeli Maria (con Giuseppe o sola) stupita o turbata o preoccupata per come il figlio si comporta.
E così le vicende delle due famiglie (quella di Abramo e quella di Gesù) si incontrano di nuovo e si incontrano anche con quelle delle nostre famiglie: solo la fede, solo lo sguardo che viene dall’amicizia con Dio e dall’ascolto della sua parola, può permetterci di vedere nell’ordinario delle nostre vite, delle nostre famiglie e dei nostri cari, il compiersi delle promesse che salvano il mondo. Solo la fede può darci gli occhi giusti per riconoscere in un neonato il Messia e in una anziana sterile la capostipite di una moltitudine. Solo la fede può insegnarci a scrutare come qui, oggi, nelle vicende affaticate o scontate delle nostre giornate e dei nostri amori, fiorisce la vita che fa crescere e fortifica.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, a lui cantate, meditate tutte le sue meraviglie. Quelle che accadranno oggi, qui, in casa nostra.
23 - Dic - 2020

Natale del Signore

Presepe dal MessaleNatale del Signore

(Is 52,7-10   Sal 97   Eb 1,1-6   Gv 1,1-18 – Giorno)
Venerdì 25 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ci fermiamo oggi solo su questa frase presa dal Vangelo della messa del giorno, provando ad entrare nel mistero che celebriamo ogni Natale.

Molto spesso confondiamo la fede cristiana con un senso religioso che si avvicina alla magia o alla superstizione: se preghiamo in un certo modo e con una certa frequenza possiamo ottenere da Dio ciò che vogliamo e se seguiamo certe norme o diciamo di credere anche in ciò che non capiamo Dio ci proteggerà. Le pratiche religiose o il sentire religioso ci danno un senso di protezione: la vita poi, quella è un’altra cosa.

Confondiamo la fede anche con la nostalgia dei tempi andati, come se il Vangelo fosse stato vissuto nel contesto sociale di 50 anni fa, ma non oggi, come se nelle famiglie di oggi non ci fosse, mentre c’era in quelle di ieri, come se nell’umanità di oggi non ci fosse, mentre c’era in quella passata.

Il Natale però viene a confondere i nostri sistemi religiosi e le nostre convinzioni sul sacro. Dio infatti non sembra essere il Supremo essere potente che dai cieli tira le fila della storia mandandoci oggi sciagure e domani consolazioni (o viceversa), né sembra essere uno che castiga chi non gli piace o non riesce a reggere gli standard di moralità che lui stabilisce.
Dio è invece (scandalosamente!) il Signore mite che si fa bambino. Sceglie di salvare la storia, il mondo e l’umanità entrando nella storia, nel mondo e nell’umano: si fa carne e gioca secondo le regole cui siamo sottoposti anche noi, senza magie, senza sconti, senza evitare problemi e sofferenze.
Nasce, ha bisogno di essere cresciuto, impara, decide, si gioca nello spazio angusto della sua vita e delle sue relazioni, fallisce, muore, ma soprattutto dentro questi spazi costretti e affaticati ama. Ama come riesce: a volte non viene capito, viene tradito persino e violato, e tutto quello che fa è continuare ad amare, ad offrire con ogni mitezza se stesso come dono perché quelli che lui ama possano goderne. Amando così sconfigge la morte.
Il Natale ci mette davanti il Dio cristiano. Niente superpoteri e supereroi che spazzano via i problemi del mondo e ricevono applausi: solo un bambino sulla cui carne si scriveranno tutte le fatiche degli uomini e nella quale scaveranno l’odio e l’ingiustizia. Solo un bambino, perché non serve di più per cambiare il mondo, per salvarlo, per rinnovarlo come se ricominciasse oggi per la prima volta. Il mondo non si salva – nemmeno dalla pandemia o dalla crisi ambientale o dalla violenza delle guerre – per un intervento soprannaturale di non si sa quale ipotetico dio, ma si salva a partire da questo bambino, dalla storia di lui che continua e si ripete in chi lo accoglie (consapevolmente o meno).
E così il Natale non ci offre la consolazione della protezione divina, ma ci chiede di essere noi la novità che può salvare il mondo: ci viene offerta la rinascita, non una magia che scaccia i problemi o non ce li fa sentire, ma l’amore possibile, povero, fallimentare, prosaico, l’unico vero. Questo amore in noi, l’amore di Dio, può farci rinascere e la nostra carne, povera e bisognosa come quella di un bambino, mostrerà la potenza di Dio che agisce, umile, nascosta, piccolina, ma capace di sconvolgere le esistenze di tutti, dal di dentro, dal basso, come un bambino che nasce sconvolge la vita dei genitori e della famiglia intera.
Questo Dio, umile e coraggioso, impotente e colmo di speranza, ostinatamente amante, è quello che ci è messo davanti nella festa del Natale.
E abbiamo la possibilità di vedere già ora che tutto rinasce, qui nella carne fragile e reale dell’umanità che lui stesso ha voluto per sé.
Prorompete insieme in canti di gioia, perché il Signore ha consolato il suo popolo.
18 - Dic - 2020

IV Domenica Avvento (B)

Avvento

IV Domenica d’Avvento (B)

(2Sam 7,1-5.8-12.14.16   Sal 88   Rm 16,25-27   Lc 1,26-38)
Domenica 20 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

L’ultima domenica di Avvento entra nel vivo del mistero e non ci deve portare a commemorare eventi passati, ma a comprendere come questi eventi siano vivi ed efficaci oggi perché, come riflettevamo domenica scorsa, il Signore è già in mezzo a noi. Riconoscerlo, rimuovere gli ostacoli perché ci raggiunga e aprirci al nuovo inizio che lui opera in noi e per noi è ciò che possiamo fare per goderci il dono che ci sta davanti. Quel mistero infatti (come leggiamo nel brevissimo passo della lettera ai Romani che costituisce la seconda lettura), che è stato avvolto per secoli dal silenzio e poi è stato svelato mediante le Scritture, ora può essere annunciato a tutti: Dio viene a visitare il suo popolo (l’umanità, il mondo e ciascuno/a di noi), a condividerne la vita e la storia.

L’annuncio fatto a Maria, riportato in questa pagina di Luca letta anche nel giorno dell’Immacolata, dichiara proprio che Dio viene a visitare il suo popolo. Non è lontano, non è incomprensibile, non vive tutt’altro da noi: si fa, invece, uno di noi per condividere con noi la sua vita. Figlio di Davide che regnerà sulla casa di Giacobbe: Dio viene a condividere la storia del suo popolo, non rinnega quello che è stato, perdona le infedeltà, si pone come erede di quello che gli esseri umani hanno saputo fare dei suoi doni e viene per salvare e custodire tutto. Non solo apre un nuovo inizio, ma benedice la storia che c’è stata fin qui e che noi troppo spesso siamo tentati di rinnegare o disprezzare.
Come stare davanti ad un Dio così? Nella prima lettura (secondo libro di Samuele) Davide vuole costruire una casa a Dio, vuole, da bravo re che abita una bella casa, fare qualcosa per onorare Dio cui deve tutto. Ma Dio non ci sta. Non vuole essere riempito di lusinghe e riconoscimenti (come fanno i potenti e anche noi quando ci capita), Dio vuole invece continuare a custodire: tu preoccupati di vivere, sembra dire a Davide, io costruirò una casa per te e per i tuoi figli e per il popolo. Ti ho preso dal pascolo e sono stato sempre con te, ho cacciato i tuoi nemici e ti darò riposo da loro. E alla fine della tua vita mi preoccuperò io di rendere stabile il tuo regno e di custodire i tuoi figli. Tu vivi, mentre io custodisco la tua vita. Dio è troppo impegnato a far vivere per volere altro.
La storia di Davide, quella del popolo e quella di ciascuno di noi, sta tutta qui: Dio non vuole da noi se non che viviamo. Non gli servono prestazioni né sacrifici né onori: rinnova il nostro passato e promette un’alleanza per il futuro, ci costruisce intorno un riparo per vivere. Per questo è venuto nel mondo, per questo viene continuamente.
Maria, la sapiente, lo sa: non pensa a che cosa deve fare per Dio, a come obbedirgli o fargli favori, semplicemente lo ascolta, si fa riempire dallo Spirito e vive, dando vita. Il Natale è alle porte, il Signore viene in mezzo a noi per costruirci una casa e custodire la nostra vita perché fiorisca. Non c’è mai stata nella storia risposta migliore di fronte a questa bellezza di quella di una ragazzina di Nazareth: Eccomi. Eccoci, Signore. Avvenga per noi ciò che dici.
11 - Dic - 2020

III Domenica Avvento (B)

Avvento

III Domenica d’Avvento (B)

(Is 61,1-2.10-11   Lc 1   1Ts 5,16-24   Gv 1,6-8.19-28)
Domenica 13 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Abbiamo cominciato l’anno liturgico ascoltando la promessa di un nuovo inizio nel Signore che ci viene incontro e per il quale (ascoltavamo nella seconda domenica di Avvento) dobbiamo preparare la strada del nostro cuore.

Ora, dopo aver riposato lo sguardo su Maria che ci anticipa concretamente il dono che Dio vuole fare a ciascuno, entriamo nella domenica della gioia perché il tempo si è fatto breve e il momento dell’incontro è incombente. Tante volte rimaniamo stupiti e allo stesso tempo sommersi dalla nostalgia quando ci accorgiamo che il tempo passa troppo in fretta, mentre ci sembra non passi mai quando stiamo aspettando qualcosa o qualcuno che desideriamo. Proprio perché sembra non passare mai, quando finalmente arriva il momento tanto atteso, non sappiamo trattenere la gioia. Ecco il cuore di questa domenica: entrare nella gioia dell’incontro con Dio.
Per vivere questi atteggiamenti la liturgia della Parola ci mette di nuovo di fronte Giovanni Battista che dà testimonianza a Gesù, dicendo che oramai è “in mezzo a noi” colui che deve venire e del quale Giovanni non è intenzionato a prendere il posto, perché lui non è la luce, ma deve renderle testimonianza.
Il Signore è già in mezzo a noi: questo l’annuncio di Giovanni ai giudei di allora e a noi oggi. Per questa venuta di lui in mezzo a noi possiamo essere sempre lieti e rendere sempre grazie (come ci invita a fare la seconda lettura tratta dalla prima lettera ai Tessalonicesi), anche se ancora non viviamo la pienezza della sua presenza e quindi dobbiamo vagliare ogni cosa e tenere solo ciò che è buono, tenere, cioè, ciò in cui Dio si fa presente.
Solo infatti se siamo consapevoli, lieti e grati, del fatto che Dio ci viene incontro vivremo scrutando la vita per cogliere i luoghi in cui lui viene, lì dove (facendoci aiutare dalla prima lettura) chi soffre viene alleggerito e liberato, oppure in quei momenti in cui ci lasciamo rivestire dalla giustizia dopo aver messo a nudo le nostre iniquità o quando lasciamo che l’amore di Dio porti frutto in noi nel beneficare tutti quelli che hanno bisogno.
Il momento di accorgerci della presenza di Dio, comunque, è arrivato e così possiamo fare nostre le parole del canto di Maria. Il mio spirito esulta perché Dio ha guardato la mia piccolezza e ha fatto in me (e grazie a me) grandi cose: gli affamati mangiano e i ricchi hanno smesso di accumulare lasciandosi svuotare le mani, i prepotenti hanno smesso di opprimere e i piccoli sono stati liberati, la compassione misericordiosa di Dio è arrivata al suo popolo e a tutti. Cerchiamo queste tracce, ciò che è buono, e potremo gioire della presenza di Dio. Rallegriamoci, dunque, perché il Signore è vicino. Basta guardare bene, è già in mezzo a noi.
05 - Dic - 2020

Immacolata concezione di Maria

Maria Donna dell'attesa

Immacolata concezione di Maria

(Gen 3,9-15.20   Sal 97   Ef 1,3-6.11-12   Lc 1,26-38)
Martedì 8 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

A volte l’attesa della salvezza si fa troppo lunga, il giorno sembra non arrivare mai e la notte continua a coprire tutto, tanto che vegliare o sperare diventa improbo. Proprio in questi momenti intravvedere l’aurora (e con essa la promessa del sole ormai prossimo a nascere) ci ridona forza, ci sostiene, ci fa capire che davvero la salvezza è vicina. Maria è stata ed è, per noi, questa aurora bellissima che ci anticipa la pienezza del giorno che tarda a venire. Ci permette di contemplare la bellezza dell’opera di Dio anche se ancora non è compiuta, come i primi raggi del sole che smorzano l’oscurità ridanno forma e colore alle cose che ci circondano.

Guardando la sua vicenda, noi sappiamo che gli esseri umani (ciascuno di noi) sono stati scelti per essere santi e immacolati di fronte a Dio nella carità (usando le parole della seconda lettura tratta dalla lettera agli Efesini). Lei ci testimonia cosa Dio è capace di fare in noi: benedetti, scelti, resi figli ed eredi di lui. Certo, diversamente da lei (così ci verrebbe da dire) noi rimaniamo ingannati molte volte dalle voci (simboleggiate dal serpente della Genesi) che ci spingono a dubitare di questo amore e di questa predilezione che Dio ci rivolge, ma, nonostante questo nostro tentennare, ineluttabilmente Dio ci ricorda di cosa siamo capaci: la stirpe della donna (cioè gli esseri umani) schiacciano la testa del serpente.
Come può accadere questo? Come possiamo vincere il male in noi e intorno a noi affrettando la venuta del Regno? Proviamo a vedere come ha fatto Maria rileggendo ancora una volta questa pagina celeberrima del Vangelo di Luca.
Di fronte alla parola che Dio rivolge a Maria tramite l’angelo, una parola buona ma impegnativa, ella si turba, perché è proprio delle persone responsabili e adulte percepire la grandezza dei doni e della chiamata di Dio a fronte della propria piccolezza e in questa situazione non si può rimanere tranquilli. Di fronte poi all’annuncio della nascita di Gesù, pone domande: vuole capire cosa accadrà e come. E nel porre domande espone il proprio punto debole: essere vergini (come essere vecchia e sterile per Elisabetta) non serve a niente in ordine al partorire. Non nasconde quindi la propria debolezza né abdica alla propria intelligenza e al dovere di decidere per se stessa: come avverrà?
Infine quando sente parlare dell’opera dello Spirito e dell’ombra dell’Altissimo che la coprirà, di fronte al fatto che Dio non vuole darle solo un bambino nato prodigiosamente, ma vuole che lei accolga Dio stesso facendolo nascere in mezzo al suo popolo, di fronte al fatto che Dio la chiama a collaborare con lui per la definitiva alleanza che vuole realizzare, di fronte a questo che la supera infinitamente e di cui allo stesso tempo coglie tutta la bellezza, si consegna con la semplicità di chi non ha altro nel cuore che la parola del Dio vivo. “Ecco sono la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”.
La responsabilità timorosa, l’umiltà disarmante e la fede libera: questo ci insegna a vivere Maria, perché il male non ci tocchi o, se anche ci toccasse, rimanga schiacciato sotto i nostri piedi incapace di avvelenarci. Guardando a lei noi possiamo percepire di cosa è capace l’amore di Dio che ci è rivolto e così queste lunghe notti invernali cominceranno ad accorciarsi prima del tempo e già riusciremo a cogliere le prime luci del mattino, pallidamente tinte del rosa dell’aurora.
03 - Dic - 2020

II Domenica Avvento (B)

Avvento

II Domenica d’Avvento (B)

(Is 40,1-5.9-11   Sal 84   2Pt 3,8-14   Mc 1,1-8)
Domenica 6 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Nella prima domenica di Avvento avevamo notato la possibilità di un nuovo inizio per il quale vegliare attentamente: è questo il momento in cui Dio ci plasma di nuovo, reimpastando la terra di cui siamo fatti e ridandoci vita. In questa seconda domenica è la seconda lettura (dalla seconda lettera di Pietro) a parlarci di una novità che riguarda il mondo intero, destinato a finire e a rinascere: cieli nuovi e terra nuova in cui avrà stabile dimora la giustizia. Ci viene messo davanti, seppure tramite immagini, un dono che va oltre ogni aspettativa e che proviamo a guardare prendendo le parole del salmista: una salvezza vicina perché Dio abiterà la nostra terra; amore, verità, giustizia e pace che fioriscono dalla terra e piovono dal cielo; un cammino di giustizia già tracciato su cui mettere i piedi; Dio che dà il bene e noi che lo restituiamo portando frutto.

Di fronte all’annuncio di un tale dono non si può stare con le mani in mano, ma ci si deve preparare. Così nel brano del profeta Isaia leggiamo che, consolati dalla sofferenza per i nostri peccati (dite a Gerusalemme che la sua tribolazione è compiuta e la sua pena scontata), dobbiamo dedicarci con operosità a preparare la strada tramite la quale il Signore vuole raggiungerci. Il Signore infatti certamente vuole raggiungerci e vuole raggiungerci tutti (non vuole che alcuno si perda, per questo ogni giorno va guardato come un’occasione in più per prepararsi all’incontro, ci ricorda la seconda lettura) ed è anche pronto a prendersi cura di ciascuno nel modo adeguato (gregge, pecore madri e agnellini, ognuno a suo modo), ma non vuole venire a noi senza che noi prepariamo la sua via, senza cioè che percepiamo la bellezza del dono che ci viene fatto e ci prepariamo ad accoglierlo con i fatti.
Allora, personalmente, ma anche come comunità umana e tanto più come comunità cristiana, siamo chiamati a rendere piano il terreno accidentato del nostro cuore ferito e delle nostre relazioni inique e a raddrizzare le vie tortuose che usiamo per nascondere, manipolare, giustificare tutto ciò che non è secondo Dio nel mondo, in noi, nella chiesa. Preparare la strada al Signore che viene vuol dire interrogarsi sugli ostacoli da rimuovere e per poi farlo.
Il Battista è presentato da Marco proprio come colui che richiama il popolo di Israele – e oggi ciascuno di noi – a compiere ciò che serve perché il dono di Dio giunga a destinazione e non rimanga infruttuoso. Grida nel deserto, chiamando a conversione e portando l’attenzione di tutti su ciò che dobbiamo attendere: il Signore che si fa continuamente presente. E se Giovanni poteva offrire solo un battesimo di acqua in cui riconoscere il proprio peccato per cominciare a spianare gli ostacoli e raddrizzare le storture, annuncia però ciò che in Gesù si è compiuto e che di nuovo ci viene offerto: il battesimo nello Spirito, cioè il dono di essere immersi nell’amore di Dio per poter vivere dentro questo amore e secondo il suo cuore, cominciando a vedere e a costruire i cieli nuovi e la terra nuova promessi. Se davvero attendiamo la salvezza, lavoreremo perché essa ci raggiunga e raggiunga tutti: Dio è già in cammino ma ci raggiungerà solo se saremo noi a spianargli la strada, cominciando a cambiare ciò che va cambiato in noi e intorno a noi.
27 - Nov - 2020

I Domenica Avvento (B)

Avvento

I Domenica d’Avvento (B)

(Is 63,16-17.19; 64,2-7   Sal 79   1Cor 1,3-9   Mc 13,33-37)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Vegliate! Per ben tre volte Gesù ripete in questi pochi versetti del Vangelo di Marco un imperativo stringente: vegliate! A questo aggiunge le raccomandazioni del caso: fate attenzione, non vi addormentate. Oramai a ridosso dell’inverno con le giornate scorciate dal buio e il freddo che si associa al virus per chiuderci in casa, quando più verrebbe da assopirsi e cedere alla malinconia, il tempo liturgico dell’Avvento irrompe gridandoci di vegliare. La seconda lettura (dalla prima lettera ai Corinzi) aggiunge ancora qualche dettaglio: ci parla di una pienezza di doni già ricevuti, di una testimonianza salda che dimora nella chiesa per cui non ci resta che attendere con fiducia la manifestazione del Signore per la quale lui stesso ci conserverà irreprensibili.

Mentre il buio (e con esso le fatiche della vita) sembra volerci indurre al sonno, il Signore ci ricorda così che dobbiamo vegliare perché il tempo che passa non va verso il nulla o verso il caso, ma tende all’incontro con lui e quindi diventa prezioso come sempre è preziosa l’attesa di chi si ama: non ci si può addormentare neanche volendo quando si attende colui che il nostro cuore desidera.
Siamo in attesa di un incontro, dunque, che costituisce però un nuovo inizio. L’anno liturgico che ricomincia infatti (proprio mentre quello solare volge al termine) diventa segno concreto di un ricominciamento inaspettato (della storia, della nostra vita, di tutto), per entrare nel quale leggiamo con calma la bellissima prima lettura  che cuce insieme due brani del libro del profeta Isaia.
Seguendo il testo vediamo che anzitutto ci si rivolge a Dio e allo stesso tempo si riconosce che il nostro cuore si è smarrito (perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie?) e indurito. Si deve ricominciare da qui, dalla verità di noi stessi, dal nostro errare e dalla nostra durezza. E poiché su questi sembriamo non avere alcun potere alziamo il grido della preghiera: ritorna Signore! Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Ma proprio nell’invocazione che sorge dalla consapevolezza del nostro errare si aprono nuove comprensioni. Prima ritorna nitido nella nostra mente il ricordo delle opere di Dio (tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti) e poi ci accorgiamo del suo amore: mai si è visto né sentito che un dio diverso da Te abbia fatto tanto per chi confida in lui. A questo punto anche quella che ci sembrava la sua lontananza, quella condizione che ci faceva sentire soli, diventa qualcos’altro: Dio non ha smesso di amare, al contrario è adirato come un innamorato geloso. Non ci ha abbandonato: lo smarrimento che proviamo è segno della mancanza che lui prova, della gelosia che ha per noi.
“Ma, Signore, tu sei nostro padre, noi siamo argilla e tu sei colui che ci plasma”. Ecco, di fronte al nostro peccato (siamo come panno immondo, arriva a dire il profeta, foglie avvizzite portate via dal vento della nostra iniquità) e alla reazione sdegnata e sofferente di Dio per la nostra mancanza di amore (tu sei adirato…avevi nascosto il tuo volto), arriva la consapevolezza di ciò che ci aspetta: come Dio ci ha creato e più volte ci ha riplasmato dandoci vita e perdono, così farà ora. Il nuovo inizio che attendiamo, di cui il tempo di Avvento si fa segno, è il tempo in cui Dio rimette le mani su di noi per modellare la terra di cui siamo fatti, per riplasmarci come un’opera nuova e bellissima.
Come si può non attenderti, Signore? Vedremo cadere a terra le scorie che ci avevano sporcato e il fango che aveva deformato il nostro aspetto e ci riceveremo nuovi, unici, dal tuo amore che tutto ricrea e fa vivere. Nessun buio resisterà allo splendore del tuo volto e nessuna stanchezza sarà capace di farci addormentare. Vieni presto, allora, Signore, “mostraci la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.
20 - Nov - 2020

Solennità di Cristo Re (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

Solennità di Cristo Re (A)

(Ez 34,11-12.15-17   Sal 22   1Cor 15,20-26.28   Mt 25,31-46)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Siamo così arrivati alla fine del venticinquesimo capitolo del Vangelo di Matteo che ci ha accompagnato in queste domeniche. Siamo stati portati in mezzo alle dieci ragazze che attendono lo sposo per chiederci se viviamo la vita intenti a procurarci ciò che serve per l’incontro: se abbiamo con noi l’olio per riaccendere le lampade. Poi siamo stati messi in mezzo ai servi che, ricevute le monete da amministrare, attendono il ritorno del padrone, per scoprire che ciò che serve per attendere l’incontro con Dio è il coraggio di vivere la vita spendendo se stessi in ciò che Dio ci mette tra le mani perché porti frutto e si moltiplichi. Oggi, veniamo portati davanti al giudizio finale.

In realtà una forma di giudizio si aveva anche nelle altre domeniche: sei una ragazza stolta o saggia? sei un servo buono o infedele? Oggi per parlare del giudizio, però, veniamo portati in mezzo al gregge (bellissima l’immagine della prima lettura del profeta Ezechiele) e veniamo passati in rassegna: ogni pecora conosciuta e guardata, recuperata da dove si era dispersa, fatta riposare, curata e scrutata per cogliere la verità di ciascuna. Il giudizio, così, non è presentato come qualcosa di terribile, ma come una cura di Dio che lenisce le ferite che ci siamo fatti e mostra la verità su quelle che abbiamo inferte ad altri.

Questo giudizio, il suo sguardo cioè, rivela se ciò che abbiamo vissuto, se il modo in cui abbiamo impiegato i talenti, ha portato frutto oppure è stato un seppellire ciò che ci era stato affidato e quindi ora ci ritroviamo con le lampade spente. Per sapere questo però Dio ci spinge a guardare fuori di noi. Non sappiamo infatti se siamo stati saggi e ci siamo spesi per far fruttificare quanto ci è stato affidato (piccolo o grande non importa: solo Dio lo sa) se non guardando gli altri. La nostra bontà (servo buono, benedetto) non si scopre guardando se siamo stati moralmente corretti, quali intenzioni avevamo, quali doti o capacità, se abbiamo avuto successo o se abbiamo rispettato le regole, la bontà dei servi, la differenza fra le pecore e le capre, si misura su come stanno gli altri che ci sono affidati. Se le persone che abbiamo avuto intorno a noi, a cominciare dai più piccoli, hanno avuto modo di nutrirsi e dissetarsi (di avere cioè la possibilità di una vita dignitosa), di trovare casa e vestiti (di essere cioè riconosciute nella loro dignità per vivere le indispensabili relazioni umane) e di essere consolate nella malattia e nella colpa (di poter toccare con mano cioè che non c’è condizione in cui Dio non ami e non si faccia presente), se le persone intorno a noi hanno, in una parola, ricevuto un po’ di vita dal nostro ordinario e persino inconsapevole (quando Signore?) operare, il giudizio di Dio rivelerà che abbiamo fatto fruttare i nostri talenti, che siamo servi buoni e fedeli, saggi tanto da trovarci una lampada colma d’olio come se la notte non fosse nemmeno iniziata.
Il giudizio infatti è condotto secondo i criteri di Dio e quindi secondo l’amore che inevitabilmente ci spinge a far vivere quelli chi amiamo, liberandoli in ogni modo dal male. Per questo chi vive combattendo il male che fa soffrire gli esseri umani e cercando di alleviare le loro fatiche, condivide lo stesso regno di Cristo che è re proprio in questo suo dominio sul male, realizzato con il servizio, la cura, il dono silenzioso e misconosciuto di sé. E questo suo regno, che si diffonde e si rafforza in quelli che credono in lui, conduce contro il male una lotta senza quartiere quanto nascosta in cui l’ultimo nemico ad essere sconfitto (così san Paolo nella seconda lettura) sarà la morte.
Davanti a questo Signore dobbiamo comparire, per questo conviene andare ad incontrarlo non con le mani pulite di chi si è preso cura di sé, ma con le mani sciupate di chi allevia le fatiche altrui arrivando a sporcarsi con il male che li minaccia. Allora sarà evidente che siamo state pecore docili che si sono fatte condurre sulla stessa via che il pastore ha scelto per sé e con lui, una volta fasciate le ferite e sconfitti tutti i nemici, entreremo in quella vita che noi stessi abbiamo cercato di moltiplicare per quelli che ci erano stati affidati.
13 - Nov - 2020

XXXIII Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XXXIII Domenica T.O. (A)

(Pr 31,10-13.19-20.30-31   Sal 127   1Ts 5,1-6   Mt 25,14-30)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Domenica scorsa la parabola delle dieci vergini ci provocava a desiderare la sapienza, a cercarla, in modo da essere pronti nel momento in cui lo Sposo sarebbe arrivato: se anche ci addormentassimo nel frattempo, basta risvegliarsi e, con le lampade piene d’olio, entrare alla festa. Ci si presentava così l’immagine della vita come di un’attesa dell’incontro con Dio, che avverrà certamente alla fine dei nostri giorni, ma che avviene continuamente nelle vicissitudini della vita nelle quali egli si fa presente.

La seconda lettura di questa domenica sembra commentare il Vangelo di domenica scorsa: il giorno del Signore (l’incontro con lui) viene come un ladro di notte (stavolta non è uno Sposo, ma arriva comunque all’improvviso e in piena notte), non c’è situazione in cui ci si possa accomodare (ci si può appisolare ma non smettere di attendere) ma bisogna essere vigilanti, cioè forniti di ciò che serve per l’incontro (con le lampade piene di olio, per tornare all’immagine della parabola).
Proviamo a chiederci allora che cosa sia l’olio che dobbiamo procurarci. Il Vangelo di questa domenica credo ci aiuti a rispondere a questa domanda. Gesù racconta la parabola dei talenti. Un uomo parte per un viaggio e distribuisce i suoi beni ai servi, a ciascuno secondo le sue capacità, perché quando ritorna quelli siano moltiplicati. Questo padrone non è geloso di ciò che possiede, preferisce che altri lo gestiscano e lo facciano crescere, piuttosto che conservarlo sterilmente pur di non farlo toccare a nessuno. Ci viene data così un’immagine di Dio straordinaria, perché egli non solo crea e fa vivere tutte le cose, ma le consegna a quelli che ama come se fossero le loro: egli non governa il mondo da solo, ma tramite il servizio coinvolto, coraggioso e responsabile di quelli che lo servono.
Non tutti però reagiscono allo stesso modo davanti al dono di Dio. Non un problema di capacità personali né di quantità dei beni prodotti (uno riceve cinque talenti e altri cinque ne guadagna, uno ne riceve due e altri due ne guadagna), il punto è l’atteggiamento di fondo: quando i doni di Dio e la sua fiducia vengono disprezzati e il servo non fa proprio nulla di ciò che gli è stato affidato, quando seppellisce tutto, si tira indietro, fa il minimo, aspetta da Dio ciò lui che ha chiesto a noi. Malvagio e pigro: così viene giudicato, perché non ha avuto il coraggio di giocare se stesso nella sfida che la vita gli offriva: moltiplicare i doni ricevuti a vantaggio di tutti.
L’olio che continuamente lungo il corso dell’esistenza bisogna procurarci, allora, potrebbe essere proprio questo coraggio, questo zelo, questa capacità di spendere tutto di sé perché i doni che ci sono messi tra le mani, le persone che ci sono affidate, il tempo, le responsabilità, gli impegni, il creato, le relazioni sociali, tutto si moltiplichi. Avremo la lampada piena d’olio se avremo trascorso la vita come la donna descritta nella prima lettura tratta dal libro dei Proverbi: senza sosta al lavoro dedita a ciò che le è affidato.
Ma per sapere se davvero ci siamo spesi per moltiplicare i doni di Dio o se invece li abbiamo seppelliti per occuparci d’altro, bisogna assumere i criteri di giudizio di Dio, sui quali ci illuminerà il Vangelo di domenica prossima, con il quale arriviamo alla festa di Cristo re che ci porta a contemplare in lui la sapienza che gli ha fatto donare tutto di sé per ciò che gli era stato affidato, questa sapienza ci insegnerà quale servizio è capace di procurarci ciò che ci serve per l’incontro con Dio e quale ci lascia al buio con le lampade vuote e una moneta del tutto inutile sotto terra.