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22 - Gen - 2021

III Domenica T.O. (B)

Tempo Ordinario

III Domenica T.O. (B)

(Gio 3,1-5.10   Sal 24   1Cor 7,29-31   Mc 1,14-20)
Domenica 24  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Prima che la quaresima arrivi ad interrompere il ritmo del tempo ordinario avremo modo di leggere tutto lo straordinario primo capitolo del Vangelo di Marco. Oggi cominciamo con la pagina che avvia la vita pubblica di Gesù. Giovanni viene arrestato e Gesù, che aveva ricevuto il battesimo da Giovanni, comincia la sua missione: annuncia il Regno e chiama i primi quattro discepoli.

Lo troviamo in cammino percorrere le strade di Galilea, come il profeta Giona (nella prima lettura) aveva percorso le strade della grande città di Ninive. Entrambi profetizzano dicendo le parole di Dio ed entrambi chiamano a conversione. Tramite loro, cioè, Dio si fa presente dicendo che è arrivato il tempo opportuno, l’occasione che vale l’attesa di una vita, perché questo è il tempo in cui possono essere perdonati e volgersi verso Dio ricevendone vita e benedizione. Non è una denuncia dei peccati, non è un’accusa o una condanna: è piuttosto l’annuncio di una cura in cui nemmeno si osava sperare. Gesù infatti dichiara che è arrivato il tempo in cui Dio può regnare: nei cuori, nelle relazioni, ovunque. Questa è la buona notizia, il Vangelo: è arrivato il momento in cui Dio viene a prendere possesso del suo regno. Si fa vicino, rompendo la solitudine e il vuoto che troppo spesso ci minacciano, ci parla e ci guarisce.
Non è una notizia fra tante, ma l’unica che il nostro cuore attende, come quella che i nostri vecchi ci raccontano di aver ascoltato increduli alla radio o urlata per strada: la guerra è finita! Forse similmente ci colpirà quella della fine della pandemia. E magari proprio questo periodo che tutti speriamo finisca quanto prima, ci può insegnare ad essere tesi, attenti, alle voci che oggi ripetono l’annuncio di Gesù (o di Giona): il regno di Dio è vicino, convertitevi! Smettete di vivere le cose belle che avete, affetti, famiglia, beni, lavoro, gioia e dolore (così ci suggerisce la brevissima seconda lettura tratta dalla prima lettera ai Corinzi), come se fossero fini a se stesse, come se fossero il nostro tutto: in realtà esse questo promettono altro, chiamano altro, aprono ad altro e quando questo altro dovesse venirci offerto bisogna essere pronti, altrimenti a nulla ci varrebbe tutto il resto.
Le due coppie di fratelli che il Vangelo ci presenta erano pronte. Lasciano il padre (ovvero ogni garanzia e collocamento sociale) e le reti (ovvero lavoro e sostentamento) per andare dietro a Gesù: ciò che facevano e le relazioni che vivevano attendevano una notizia, che permettesse loro di entrare nella pienezza della vita. Quando questa arriva, non indugiano e subito (quante volte questo avverbio nel testo di Marco!) vanno dietro al profeta. Che la buona notizia di Dio che si fa vicino per regnare ci colga così: pronti, immersi nella vita con l’orecchio teso ad ascoltare la chiamata che Dio ci rivolge e che sempre ci porta oltre, a guarigioni impensate, rinnovamenti incalcolabili e itinerari mai percorsi.
Per questo con il salmista diciamo: fammi conoscere Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri, guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, fammi capace di riconoscere la tua voce e di seguirti, subito.
16 - Gen - 2021

II Domenica T.O. (B)

Tempo Ordinario

II Domenica T.O. (B)

(1Sam 3,3-10.19   Sal 39   1Cor 6,13-15.17-20   Gv 1,35-42)
Domenica 17  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La liturgia di oggi ci mostra Gesù fare i suoi primi passi. Dopo il battesimo il Battista lo addita come Agnello di Dio e due di quelli che erano i suoi discepoli lo lasciano per seguire Gesù. Il Vangelo di Giovanni non ci parla della chiamata dei primi discepoli, ci dice invece che questi si misero sulle orme di Gesù fidandosi della parola di un altro: il Battista. In qualche modo accade qui quello che la prima lettura ci racconta per il giovane Samuele: Eli lo istruisce su come ascoltare e su che cosa dire per accogliere la chiamata di Dio e appropriarsi delle sue parole (non ne avrebbe lasciata andare a vuoto nemmeno una, annota la Scrittura). Samuele ha avuto bisogno di un altro per incontrare il Signore, così i due discepoli del Battista e lo stesso accade poi quando Andrea, che era uno dei due, indica a sua volta il Signore a Pietro, suo fratello.

I discepoli dunque si mettono a camminare dietro il Signore e lui si volta a guardarli: chi cercate? Sembra che voglia far emergere in loro i desideri che li muovono. Perché vanno dietro a Gesù? Questa parola è per noi adesso: che cosa cerchiamo? La risposta dei discepoli è, sorprendentemente, una domanda: dove dimori? In questo modo sembrano dire che cercano il luogo in cui lui si ferma, vogliono cioè stare con lui. E il Signore li porta con sé. L’unico motivo valido per seguire Gesù deve essere Gesù: se è altro a guidarci prima o poi ci perderemo. Se non è la sua bellezza, il fascino delle sue parole, ma altro che ci spinge a cercarlo, non lo capiremo e magari lo tradiremo proprio quando avremmo dovuto restare. Anche noi abbiamo sentito qualcuno indicarci Gesù come il Signore e abbiamo mosso i primi passi dietro di lui. E allora anche noi, magari, desiderosi di attingere un po’ della sua vita e della sua bellezza, abbiamo chiesto: dove dimori?
Forse in questa liturgia, prendendo in prestito i versetti del sesto capitolo della prima lettera ai Corinzi (seconda lettura), Gesù ci risponde che dimora in noi e nei fratelli che ci dona. Ci ripete che il nostro corpo e quello altrui sono sue membra, che il suo Spirito ci abita e abita i nostri fratelli come in un tempio.
Non troveremo Gesù nella solitudine eroica delle illuminazioni o nel coinvolgimento conturbante delle emozioni che ci fanno sentire una qualche presenza di Dio, né lo troveremo nelle nostre prestazioni o impeccabilità, ma lo scopriremo con facilità nel corpo, quasi sempre affaticato e ferito, che ci sta di fianco e nel nostro corpo: nella concretezza del nostro vivere, cioè. In questa prossimità faticosa e imperfetta, il Signore dimora, chiama, si fa conoscere. Ci serve solo di ricordarci a vicenda “ecco l’Agnello di Dio” in modo da seguirlo subito, senza perdere nemmeno un momento, senza lasciare andare a vuoto nemmeno una delle sue parole.
E quando riusciremo a riconoscerne la presenza in noi e in quelli che ci dona, anche noi, come Pietro, ci sentiremo fissati da lui e magari lo ascolteremo darci un nome nuovo, uno che solo lui usa per noi, come si fa in famiglia con i più piccoli, un nome che dice l’intimità di chi si riconosce e dimora nello stesso luogo, ricordando per tutta la vita il giorno e l’ora in cui questa intimità è cominciata.
09 - Gen - 2021

Battesimo del Signore (B)

Presepe dal Messale

Battesimo del Signore (B)

(Is 55,1-11   Da Is 12   1Gv 5,1-9   Mc 1,7-11)
Domenica 10  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Questa bellissima festa che chiude il tempo di Natale e apre il tempo ordinario (il più bello di tutti, perché segno efficace della vita nella quale il mistero insondabile di Dio si dipana nell’ovvio dei giorni feriali) ci riporta continuamente all’acqua, presente in tutte le letture e richiamata come un simbolo potentissimo, perché senza acqua non c’è vita e perché tutti nasciamo uscendo dalle acque del grembo materno. Il battesimo cristiano è proprio un uscire dalle acque, dal grembo stesso di Dio, per rinascere come figli suoi.

La prima lettura (dal profeta Isaia) sembra un fiume in piena di parole che vogliono sommergerci per portarci là dove possiamo dissetarci, saziarci, gustare la bontà, scoprire il sovrabbondante perdono di Dio e l’abbondanza della sua amicizia, perché, qualsiasi tradimento o povertà ci appartenga, la parola di Dio è capace di portare a termine ciò che promette: la sua vita in noi che zampilla come una fonte inesauribile. L’acqua è dunque il segno potente della Parola di Dio, del suo Amore, del suo Spirito che invade il mondo rendendo testimonianza al mistero di Dio e portando i suoi frutti di vita.
L’acqua viene citata anche nel testo (per nulla facile) della prima lettera di Giovanni che leggiamo come seconda lettura: chi crede ovvero chi ama (perché credere in Dio, amarlo e amare i fratelli sono una sola cosa) è rigenerato da Dio, infatti chi crede nell’amore di lui, chi lo conosce, ne rimane sommerso e trascinato tanto che non può non amare. L’acqua, lo Spirito e (aggiunge Giovanni) il sangue ci danno testimonianza di questo mistero: della nostra rinascita che ci fa vincere il mondo.
Il fatto che venga citato il sangue ci dice, però, che rinascere e vincere il mondo non è indolore, ci dice – in fondo – che non si tratta di una favola o di parole consolatorie, ma della vita vera, che sempre si gioca nella carne e nel sangue. E questo si fa evidente nei pochi versetti in cui Marco ci racconta il battesimo di Gesù.
Gesù si immerge nell’acqua per convertirsi, come fanno tutti gli altri. Non deve abbandonare i peccati, ma deve abbandonare la sua vita e iniziarne un’altra. Si immerge nell’acqua per consegnare se stesso al Padre e perché lui lo faccia rinascere. E davanti a Gesù che si consegna, Dio, come in un incontenibile moto di amore, come un innamorato che dopo tantissimo tempo vede offrirsi chi attende da una vita, dichiara tutto il suo amore: questo è il Figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento. E Gesù rinasce da questa Parola che dichiara la sua identità profonda, ciò che lui è e a cui rimarrà fedele anche quando questo lo porterà all’orrore della croce.
Il Vangelo di oggi già richiama quel giorno perché Marco usa il verbo “squarciare” solo due volte: qui, quando si squarciano i cieli e Dio parla riversando sul figlio il suo Spirito, e quando Gesù muore gridando e il velo del tempio si squarcia. Non bastano l’acqua e lo Spirito a dare testimonianza al mistero d’amore del Padre, ci vuole anche il sangue, perché si tratta della vita reale.
Gesù rinasce come Figlio, consegnato all’amore del Padre e invaso da questo amore, e muore come Figlio, consegnato a questo amore fino all’ultimo respiro, fino al grido disperato di chi si sente abbandonato. E in quel momento il mondo (inteso come nella seconda lettura, cioè come tutto ciò che fa morire) è definitivamente sconfitto: il grido di Gesù squarcia il velo del tempio, entra cioè nel grembo stesso di Dio e Dio ascolta questo grido, rimettendo al mondo il Figlio, di nuovo, infallibilmente. E così, il dolore (ma non c’è parto senza travaglio) e la morte, insieme all’acqua e allo Spirito, ci testimoniano l’unico mistero della vita che viene rinnovata: in Cristo, in noi, in tutto.

 

04 - Gen - 2021

Epifania del Signore

Epifania - p.M.Rupnik

Epifania del Signore

(Is 60,1-6   Sal 71   Ef 3,2-3.5-6   Mt 2,1-12)
Mercoledì 6  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

A volte crediamo che la luce si imponga, come fanno le nostre anonime lampade artificiali che violano in un attimo il buio naturale della notte, illudendoci che le giornate si possano prolungare all’infinito o che il sonno non debba più essere necessariamente notturno. Pensiamo così che, se al buio accendi la luce, quella semplicemente si vede. Invece la bellissima solennità di oggi e le letture che in essa vengono proclamate, mescolano le tenebre e la luce, perché queste sì vengono separate fin dal primo giorno della creazione, ma senza che nessuna delle due soccomba: la luce splende nelle tenebre, come qualcosa di cui bisogna accorgersi, non come qualcosa che cancella il buio.

“La tenebra ricopre la terra e nebbia fitta avvolge i popoli, ma su di te risplende il Signore e la sua gloria appare su di te”. Così leggiamo nel profeta Isaia (prima lettura) che come un visionario, un folle o un bambino immerso nelle sue fantasticherie, immagina gloria e splendore là dove tutto è nebbia. Come capita risalendo certe strade di collina, che ripide si allontanano dalla piana immersa nella nebbia e improvvisamente, dietro una curva, scoprono il cielo sereno e tutti i colori del mondo. Certe luci non si impogono bisogna cercarle: si può pensare che la nebbia sia ovunque, che abbia vinto tutto, che non nasca niente di nuovo e rimanere così fermi, oppure si possono avere occhi acuti e osservare nel cielo scuro della notte il brillare di una stella e seguirla.
Così i magi ci appaiono maestri di speranza e di desiderio. Scrutano le tenebre cercando una luce. Viaggiano, chiedono e alla fine offrono doni, grati di aver visto ciò per cui valeva la pena tentare l’avventura: vedono l’umanità rinata in questo bambino, luce in un mondo di tenebra in cui regnano potenti irresponsabili e violenti, avvinti dal potere che li domina. Riconoscono la speranza di Israele, loro che erano pagani, e per primi vedono le tenebre raccorciarsi. Dio invade la storia.
Questa promessa di luce è per noi. Il mistero del Vangelo (seconda lettura), che fa rinascere ogni essere umano, li costituisce tutti fratelli e sorelle abbattendo ogni diversità, mettendo fine ad ogni violenza e ad ogni devastazione per avviare un mondo dove regni la logica di Dio. Tutto questo non accade con violenza, imponendosi, quasi per magia, eppure accade in noi e intorno a noi, proprio ora, mentre la tenebra ricopre la terra e nebbia fitta ricopre i popoli. Sta a noi scegliere se avere gli occhi di Erode, che ama le tenebre che lo cullano nella sua meschinità, o avere gli occhi dei magi, rivolti, attenti, assetati, pronti a cogliere il brillio della luce là dove tutto sembra spento. E la luce era la vita degli uomini.
01 - Gen - 2021

II Domenica dopo Natale

Presepe dal Messale

II Domenica dopo Natale

(Sir 24,1-4.12-16   Sal 147   Ef 1,3-6.15-18   Gv 1,1-18)
Domenica 3  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

In questa seconda domenica dopo Natale, il mistero dell’incarnazione viene ripreso direttamente, ripresentando lo stesso Vangelo del giorno di Natale: il prologo di Giovanni. Stavolta però la prima lettura (dal libro del Siracide) fa come da trama al testo del quarto evangelista, quasi che questi lo avesse riscritto. La Sapienza, che sta da sempre davanti a Dio, che ha con lui un rapporto unico e ne dice le parole, ora ha piantato la tenda in mezzo agli esseri umani, ha posto le radici in mezzo al popolo e ha preso dimora nell’assemblea. Questa Sapienza è quella Parola (questo significa “Verbo”) che sta da sempre presso Dio, una cosa sola con il Padre (è nel suo grembo, ci dice Giovanni) e allo stesso tempo rivolta (ogni parola riflette chi parla ma è inviata a chi l’ascolta) a coloro che Dio ama. Questa Sapienza-Parola non solo è rivolta, non solo pianta la propria tenda in mezzo al popolo che Dio si sceglie, ma diventa carne, diventa umana, al punto da poter dire che Dio, che nessuno ha mai visto, ora è stato visto.

Possiamo però fare un ultimo passo. La Sapienza ha posto la dimora in mezzo al suo popolo: questo per gli israeliti significa il dono della legge, parola uscita dalla bocca di Dio (quella legge, ci dice Giovanni, data per mezzo di Mosè). La legge poi diventa carne nella vita di coloro che la osservano e così la Sapienza vive nel popolo, prende dimora nell’assemblea dei santi. Giovanni aggiunge poi che per mezzo di Cristo, cioè la Parola fatta carne, abbiamo la grazia e verità, cioè abbiamo la radice stessa della legge e di ogni dono di Dio: il suo amore e la sua vita.
Accogliere questa vita ci fa rinascere come figli di Dio, abitati da quello Spirito di sapienza (così il brano della lettera agli Efesini) che ci fa accorgere del suo amore, ce lo fa desiderare e corrispondere “nella fede in Dio e nell’amore verso tutti i santi”. Lasciandoci sedurre dall’amore che è stato riversato nei nostri cuori, quella grazia e quella verità che abbiamo visto nella carne di Cristo, noi siamo come lui figli del Padre e così chi ci vede amare vede il Padre. Non per niente nella sua prima lettera Giovanni scriverà, riprendendo solo una parte del versetto scritto nel prologo, “Dio nessuno l’ha mai visto” per continuare poi non parlando del Figlio incarnato ma di noi: “ma se ci amiamo gli uni gli altri l’amore di Dio in noi è perfetto”. Per vedere e toccare ciò che la carne di Gesù fa vedere e toccare, ora bisogna immergersi in mezzo a quelli e quelle che sono rinati da lui e che sono animati dallo Spirito di lui.
Dio illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati e quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi!
30 - Dic - 2020

Maria Santissima madre di Dio

Madre di Dio - p.M.Rupnick

Maria Santissima madre di Dio

(Nm 6, 22-27   Sal 66   Gal 4,4-7   Lc 2,16-21)
Venerdì 1  Gennaio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

I pastori andarono, videro il bambino, riferirono quanto gli angeli avevano detto su di lui. Tutti si stupiscono e Maria custodisce tutto nel cuore, meditandolo, come se ci fosse un segreto ulteriore da scoprire, qualcosa da riprendere più e più volte, con calma e in silenzio. I pastori se ne tornano, glorificando e lodando Dio per quello che hanno udito e visto, come era stato detto loro.

Scorrendo queste poche parole del Vangelo di Luca dobbiamo chiederci come stiamo di fronte a questo bambino. Siamo quelli che si stupiscono di quello che viene detto? O siamo Maria, consapevoli che non riusciamo a capire tutto, ma che questo mistero è decisivo per la nostra vita e merita di essere custodito? Oppure siamo i pastori che hanno visto proprio quello che era stato detto loro e ora tornano alla vita lodando Dio?
Potremmo cominciare con lo stupirci. Stupiamoci dell’amore di Dio, del suo immergersi nell’umano per fare di noi i suoi figli. Lo Spirito che ha abitato Gesù (leggiamo questo nei pochi versetti della lettera ai Galati) ci invade e così ci fa essere come lui: figli del Padre. Siamo, come lui, figli di Dio.
Lo stupore di fronte a questo dono ci condurrà al silenzio grato e meditabondo di Maria. Che Maria fosse silenziosa è uno stereotipo odioso che pervade la nostra tradizione, ma qui possiamo pensarla in quel silenzio di chi ha bisogno di assimilare qualcosa troppo grande, al punto da doverlo accantonare in fondo al cuore per poi ritirarlo fuori al momento opportuno. Magari questo anno che comincia potrebbe condurci per le vie della meditazione quotidiana della Parola di Dio e del suo mistero, in modo da meditare e custodire il dono ricevuto: così lo stupore non rimarrà la fugace emozione di un giorno, ma si tradurrà in gesti e pensieri nutriti da ciò che abbiamo saputo guardare e ascoltare.
E arriviamo ai pastori. Anche noi, come loro, abbiamo visto e udito. Che cosa ci era stato promesso? Un nuovo inizio, un dono che ci viene incontro e che – guardando bene – è già in mezzo a noi, offerto a ciascuno perché viva. Ora abbiamo occhi per vedere (o dovremmo averli), perché abbiamo celebrato la nascita di Cristo e abbiamo visto l’inizio della sua storia. Ora sappiamo che Dio ci ha rivolto il suo volto e ci ha benedetti (prima lettura) perché ha condiviso tutta la nostra vita e in questo modo ci ha indicato la via della salvezza. Custodia, amore benevolo e pace: ora sappiamo che Dio si volge a noi in questo modo. Lo abbiamo capito guardando questo bambino nel quale tutto l’amore di Dio e ogni possibilità di vita si fanno palpabili.
Dio ci volge il suo volto, un volto umano, un volto bambino, un volto mite e ordinario, un volto che possiamo guardare senza paura e che può diventare il nostro stesso volto se avremo l’amore necessario per seguire questo bambino. Dio ci volge il suo volto e ci benedice: lo fa sempre, anche in mezzo alle vicissitudini sfavorevoli della vita, in mezzo alle difficoltà e persino di fronte alla morte. Abbiamo visto nascere il bambino che ci mostra il volto di Dio: come i pastori ce ne torniamo alle nostre vite, al nostro anno (comunque sarà) benedicendo e lodando Dio.
26 - Dic - 2020

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (B)

Sacra Famiglia - p.M.Rupnik

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

(Gen 15,1-6; 21,1-3   Sal 104   Eb 11,8.11-12.17-19   Lc 2,22-40)
Domenica 27 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Le letture di questa festa ci presentano due famiglie a confronto: quella di Abramo (prima e seconda lettura) e quella in cui è nato Gesù (Vangelo). In entrambe lo straordinario delle promesse di Dio e della sua opera si compie nell’ordinaria vicenda della nascita di un bambino. Per entrambe non fu facile: Abramo e Sara (che rise incredula di fronte alla profezia dei tre uomini alle querce di Mamre) tentarono di realizzare la promessa di Dio tramite una schiava da cui nacque Ismaele per poi cacciarli entrambi a causa delle gelosie sopraggiunte. Maria e Giuseppe, da parte loro, hanno dovuto scoprire chi fosse il loro bambino.

Ogni genitore scopre i propri figli non solo guardandoli crescere, ma ascoltando ciò che altri vedono e dicono su di essi: parenti, amici, insegnanti e molti altri. Il mistero di coloro che nascono da noi è noto solo a Dio e ogni giorno ne scopriamo un po’  anche ascoltando ciò che altri, da altre prospettive, vedono. Noi siamo troppo coinvolti, siamo un corpo solo con i nostri figli, abbiamo bisogno di ciò che altri intuiscono per assumere uno sguardo più contemplativo, meno sicuro di ciò che già crediamo di conoscere da sempre.
E così Luca ci racconta che Giuseppe e Maria, proprio facendo ciò che dei bravi israeliti devono fare (vivendo l’ordinario cioè), incontrano Simeone che profetizza e benedice, dicendo che questo bambino è il Messia. Il padre e la madre di Gesù si stupivano – annota Luca – di ciò che si diceva del bambino. E – continua l’evangelista – a questo punto Simeone dice a Maria che Gesù sarà un segno di contraddizione, cioè il popolo e le genti si divideranno davanti a lui in chi lo accoglie e in chi lo rifiuta (e questo svelerà il cuore di ciascuno), quindi fermando lo sguardo su di lei aggiunge: anche a te una spada trafiggerà l’anima. La spada affilata nella Scrittura è la parola di Dio, anche Maria – forse lei più di tutti perché immersa nell’ordinario rapporto con suo figlio che le impedisce di vedere subito ciò che altri vedono – dovrà ascoltare la parola e lasciarsi penetrare l’anima fino in fondo per riconoscere in questo bambino la luce delle genti e la gloria di Israele. E avrà bisogno di tempo e di ascolto e ciò che altri, come Simeone e come la profetessa Anna, ma prima ancora i pastori, vedono. Se il cuore di lei si lascerà penetrare dalla Parola comprenderà chi è Gesù e ne comprenderà la missione: non credo per lei fosse più facile, ma più difficile, perché doveva abbandonare l’ordinaria conoscenza di anni in cui Gesù era stato semplicemente suo figlio. E infatti troviamo più volte nei Vangeli Maria (con Giuseppe o sola) stupita o turbata o preoccupata per come il figlio si comporta.
E così le vicende delle due famiglie (quella di Abramo e quella di Gesù) si incontrano di nuovo e si incontrano anche con quelle delle nostre famiglie: solo la fede, solo lo sguardo che viene dall’amicizia con Dio e dall’ascolto della sua parola, può permetterci di vedere nell’ordinario delle nostre vite, delle nostre famiglie e dei nostri cari, il compiersi delle promesse che salvano il mondo. Solo la fede può darci gli occhi giusti per riconoscere in un neonato il Messia e in una anziana sterile la capostipite di una moltitudine. Solo la fede può insegnarci a scrutare come qui, oggi, nelle vicende affaticate o scontate delle nostre giornate e dei nostri amori, fiorisce la vita che fa crescere e fortifica.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, a lui cantate, meditate tutte le sue meraviglie. Quelle che accadranno oggi, qui, in casa nostra.
23 - Dic - 2020

Natale del Signore

Presepe dal MessaleNatale del Signore

(Is 52,7-10   Sal 97   Eb 1,1-6   Gv 1,1-18 – Giorno)
Venerdì 25 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ci fermiamo oggi solo su questa frase presa dal Vangelo della messa del giorno, provando ad entrare nel mistero che celebriamo ogni Natale.

Molto spesso confondiamo la fede cristiana con un senso religioso che si avvicina alla magia o alla superstizione: se preghiamo in un certo modo e con una certa frequenza possiamo ottenere da Dio ciò che vogliamo e se seguiamo certe norme o diciamo di credere anche in ciò che non capiamo Dio ci proteggerà. Le pratiche religiose o il sentire religioso ci danno un senso di protezione: la vita poi, quella è un’altra cosa.

Confondiamo la fede anche con la nostalgia dei tempi andati, come se il Vangelo fosse stato vissuto nel contesto sociale di 50 anni fa, ma non oggi, come se nelle famiglie di oggi non ci fosse, mentre c’era in quelle di ieri, come se nell’umanità di oggi non ci fosse, mentre c’era in quella passata.

Il Natale però viene a confondere i nostri sistemi religiosi e le nostre convinzioni sul sacro. Dio infatti non sembra essere il Supremo essere potente che dai cieli tira le fila della storia mandandoci oggi sciagure e domani consolazioni (o viceversa), né sembra essere uno che castiga chi non gli piace o non riesce a reggere gli standard di moralità che lui stabilisce.
Dio è invece (scandalosamente!) il Signore mite che si fa bambino. Sceglie di salvare la storia, il mondo e l’umanità entrando nella storia, nel mondo e nell’umano: si fa carne e gioca secondo le regole cui siamo sottoposti anche noi, senza magie, senza sconti, senza evitare problemi e sofferenze.
Nasce, ha bisogno di essere cresciuto, impara, decide, si gioca nello spazio angusto della sua vita e delle sue relazioni, fallisce, muore, ma soprattutto dentro questi spazi costretti e affaticati ama. Ama come riesce: a volte non viene capito, viene tradito persino e violato, e tutto quello che fa è continuare ad amare, ad offrire con ogni mitezza se stesso come dono perché quelli che lui ama possano goderne. Amando così sconfigge la morte.
Il Natale ci mette davanti il Dio cristiano. Niente superpoteri e supereroi che spazzano via i problemi del mondo e ricevono applausi: solo un bambino sulla cui carne si scriveranno tutte le fatiche degli uomini e nella quale scaveranno l’odio e l’ingiustizia. Solo un bambino, perché non serve di più per cambiare il mondo, per salvarlo, per rinnovarlo come se ricominciasse oggi per la prima volta. Il mondo non si salva – nemmeno dalla pandemia o dalla crisi ambientale o dalla violenza delle guerre – per un intervento soprannaturale di non si sa quale ipotetico dio, ma si salva a partire da questo bambino, dalla storia di lui che continua e si ripete in chi lo accoglie (consapevolmente o meno).
E così il Natale non ci offre la consolazione della protezione divina, ma ci chiede di essere noi la novità che può salvare il mondo: ci viene offerta la rinascita, non una magia che scaccia i problemi o non ce li fa sentire, ma l’amore possibile, povero, fallimentare, prosaico, l’unico vero. Questo amore in noi, l’amore di Dio, può farci rinascere e la nostra carne, povera e bisognosa come quella di un bambino, mostrerà la potenza di Dio che agisce, umile, nascosta, piccolina, ma capace di sconvolgere le esistenze di tutti, dal di dentro, dal basso, come un bambino che nasce sconvolge la vita dei genitori e della famiglia intera.
Questo Dio, umile e coraggioso, impotente e colmo di speranza, ostinatamente amante, è quello che ci è messo davanti nella festa del Natale.
E abbiamo la possibilità di vedere già ora che tutto rinasce, qui nella carne fragile e reale dell’umanità che lui stesso ha voluto per sé.
Prorompete insieme in canti di gioia, perché il Signore ha consolato il suo popolo.
18 - Dic - 2020

IV Domenica Avvento (B)

Avvento

IV Domenica d’Avvento (B)

(2Sam 7,1-5.8-12.14.16   Sal 88   Rm 16,25-27   Lc 1,26-38)
Domenica 20 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

L’ultima domenica di Avvento entra nel vivo del mistero e non ci deve portare a commemorare eventi passati, ma a comprendere come questi eventi siano vivi ed efficaci oggi perché, come riflettevamo domenica scorsa, il Signore è già in mezzo a noi. Riconoscerlo, rimuovere gli ostacoli perché ci raggiunga e aprirci al nuovo inizio che lui opera in noi e per noi è ciò che possiamo fare per goderci il dono che ci sta davanti. Quel mistero infatti (come leggiamo nel brevissimo passo della lettera ai Romani che costituisce la seconda lettura), che è stato avvolto per secoli dal silenzio e poi è stato svelato mediante le Scritture, ora può essere annunciato a tutti: Dio viene a visitare il suo popolo (l’umanità, il mondo e ciascuno/a di noi), a condividerne la vita e la storia.

L’annuncio fatto a Maria, riportato in questa pagina di Luca letta anche nel giorno dell’Immacolata, dichiara proprio che Dio viene a visitare il suo popolo. Non è lontano, non è incomprensibile, non vive tutt’altro da noi: si fa, invece, uno di noi per condividere con noi la sua vita. Figlio di Davide che regnerà sulla casa di Giacobbe: Dio viene a condividere la storia del suo popolo, non rinnega quello che è stato, perdona le infedeltà, si pone come erede di quello che gli esseri umani hanno saputo fare dei suoi doni e viene per salvare e custodire tutto. Non solo apre un nuovo inizio, ma benedice la storia che c’è stata fin qui e che noi troppo spesso siamo tentati di rinnegare o disprezzare.
Come stare davanti ad un Dio così? Nella prima lettura (secondo libro di Samuele) Davide vuole costruire una casa a Dio, vuole, da bravo re che abita una bella casa, fare qualcosa per onorare Dio cui deve tutto. Ma Dio non ci sta. Non vuole essere riempito di lusinghe e riconoscimenti (come fanno i potenti e anche noi quando ci capita), Dio vuole invece continuare a custodire: tu preoccupati di vivere, sembra dire a Davide, io costruirò una casa per te e per i tuoi figli e per il popolo. Ti ho preso dal pascolo e sono stato sempre con te, ho cacciato i tuoi nemici e ti darò riposo da loro. E alla fine della tua vita mi preoccuperò io di rendere stabile il tuo regno e di custodire i tuoi figli. Tu vivi, mentre io custodisco la tua vita. Dio è troppo impegnato a far vivere per volere altro.
La storia di Davide, quella del popolo e quella di ciascuno di noi, sta tutta qui: Dio non vuole da noi se non che viviamo. Non gli servono prestazioni né sacrifici né onori: rinnova il nostro passato e promette un’alleanza per il futuro, ci costruisce intorno un riparo per vivere. Per questo è venuto nel mondo, per questo viene continuamente.
Maria, la sapiente, lo sa: non pensa a che cosa deve fare per Dio, a come obbedirgli o fargli favori, semplicemente lo ascolta, si fa riempire dallo Spirito e vive, dando vita. Il Natale è alle porte, il Signore viene in mezzo a noi per costruirci una casa e custodire la nostra vita perché fiorisca. Non c’è mai stata nella storia risposta migliore di fronte a questa bellezza di quella di una ragazzina di Nazareth: Eccomi. Eccoci, Signore. Avvenga per noi ciò che dici.
11 - Dic - 2020

III Domenica Avvento (B)

Avvento

III Domenica d’Avvento (B)

(Is 61,1-2.10-11   Lc 1   1Ts 5,16-24   Gv 1,6-8.19-28)
Domenica 13 Dicembre 2020

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Abbiamo cominciato l’anno liturgico ascoltando la promessa di un nuovo inizio nel Signore che ci viene incontro e per il quale (ascoltavamo nella seconda domenica di Avvento) dobbiamo preparare la strada del nostro cuore.

Ora, dopo aver riposato lo sguardo su Maria che ci anticipa concretamente il dono che Dio vuole fare a ciascuno, entriamo nella domenica della gioia perché il tempo si è fatto breve e il momento dell’incontro è incombente. Tante volte rimaniamo stupiti e allo stesso tempo sommersi dalla nostalgia quando ci accorgiamo che il tempo passa troppo in fretta, mentre ci sembra non passi mai quando stiamo aspettando qualcosa o qualcuno che desideriamo. Proprio perché sembra non passare mai, quando finalmente arriva il momento tanto atteso, non sappiamo trattenere la gioia. Ecco il cuore di questa domenica: entrare nella gioia dell’incontro con Dio.
Per vivere questi atteggiamenti la liturgia della Parola ci mette di nuovo di fronte Giovanni Battista che dà testimonianza a Gesù, dicendo che oramai è “in mezzo a noi” colui che deve venire e del quale Giovanni non è intenzionato a prendere il posto, perché lui non è la luce, ma deve renderle testimonianza.
Il Signore è già in mezzo a noi: questo l’annuncio di Giovanni ai giudei di allora e a noi oggi. Per questa venuta di lui in mezzo a noi possiamo essere sempre lieti e rendere sempre grazie (come ci invita a fare la seconda lettura tratta dalla prima lettera ai Tessalonicesi), anche se ancora non viviamo la pienezza della sua presenza e quindi dobbiamo vagliare ogni cosa e tenere solo ciò che è buono, tenere, cioè, ciò in cui Dio si fa presente.
Solo infatti se siamo consapevoli, lieti e grati, del fatto che Dio ci viene incontro vivremo scrutando la vita per cogliere i luoghi in cui lui viene, lì dove (facendoci aiutare dalla prima lettura) chi soffre viene alleggerito e liberato, oppure in quei momenti in cui ci lasciamo rivestire dalla giustizia dopo aver messo a nudo le nostre iniquità o quando lasciamo che l’amore di Dio porti frutto in noi nel beneficare tutti quelli che hanno bisogno.
Il momento di accorgerci della presenza di Dio, comunque, è arrivato e così possiamo fare nostre le parole del canto di Maria. Il mio spirito esulta perché Dio ha guardato la mia piccolezza e ha fatto in me (e grazie a me) grandi cose: gli affamati mangiano e i ricchi hanno smesso di accumulare lasciandosi svuotare le mani, i prepotenti hanno smesso di opprimere e i piccoli sono stati liberati, la compassione misericordiosa di Dio è arrivata al suo popolo e a tutti. Cerchiamo queste tracce, ciò che è buono, e potremo gioire della presenza di Dio. Rallegriamoci, dunque, perché il Signore è vicino. Basta guardare bene, è già in mezzo a noi.