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04 - Feb - 2022

V Domenica del T.O. anno C

Tempo Ordinario

V Domenica Tempo Ordinario

Anno C

(Is 6,1-2.3-8   Sal 137   1Cor 15,1-11   Lc 5,1-11)
Domenica 6 Febbraio 2022

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Se domenica scorsa venivamo portati a riflettere sulle resistenze che la Parola può incontrare intorno a noi e in noi, oggi assistiamo invece ad una sua generosa e pronta accoglienza. Fin dall’inizio di questa pagina di Vangelo troviamo infatti l’ascolto e il servizio della parola: Gesù predica, le folle vogliono ascoltare e Simone offre la propria barca, che era rimasta tristemente vuota e inutile durante la pesca, perché il Signore possa insegnare. E alla fine di questo insegnamento Gesù si rivolge a Simone perché torni a pescare. La risposta di Simone ci mostra ancora una volta la centralità della Parola che viene onorata in ogni modo: abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti. Sulla tua parola. Nell’ascoltare Gesù Simone ha scoperto quell’autorità che altri avevano già visto a Nazaret e, fuori dalle logiche del suo mestiere (è ormai giorno e tutta la notte non hanno pescato nulla), fa un gesto che ha senso solo se la parola di Gesù è affidabile. La vita cristiana è in fondo una vita umana, come tutte le altre, nutrita da una parola, che spinge a trovare il senso di ogni gesto non solo nelle logiche buone e belle dell’intelligenza e della morale, ma nella logica straordinaria del Vangelo che chiama a sperare in un amore traboccante per far rinascere continuamente la vita, che riempie le reti rimaste vuote. Luca ci racconta che tutti vengono presi dallo stupore e che Simone si getta ai piedi di Gesù riconoscendosi peccatore. Nel fare questo non esprime sensi di colpa e nemmeno il rammarico per la propria imperfezione, ma piuttosto parla della dismisura fra ciò che comprende di sé e ciò che viene da Dio (una dinamica simile si può notare anche nel brano tratto dal libro del profeta Isaia, che costituisce la prima lettura, e anche in quello che Paolo dice di sé nella seconda lettura). Di fronte ad una tale sovrabbondanza di vita, ci si può solo riconoscere indegni.

La risposta di Gesù (non temere!) è tipica dei racconti di vocazione, nei quali chi annuncia, davanti al turbamento iniziale di chi deve ascoltare, invita a non temere e rassicura (nel Vangelo di Luca le stesse parole si trovano per esempio nel racconto dell’annunciazione a Maria). Simone però non è stato chiamato a fare niente. Sembrerebbe allora che Gesù veda proprio nel fatto che Simone si è fatto servo e ascoltatore della Parola, al punto da riconoscere la propria indegnità davanti ad essa, una chiamata del Padre, un moto dello Spirito. Forse Gesù completa solamente la vocazione di Simone: sarai pescatore di uomini. E lo sarà davvero, proprio a partire dalla consapevolezza della sua fragilità, perché questa gli impedirà di mettere se stesso al posto della Parola e lo spingerà solo ad ascoltare e seguire. Vivendo così sarà pescatore di uomini e donne, perché quando si vive per la Parola molti vengono presi all’amo della bellezza del Vangelo che viene raccontato e, in tutta povertà, vissuto.

La storia della chiesa (tutti questi venti secoli) e la sua stessa esistenza si fondano su questa decisiva dinamica (di cui anche il brano della prima lettera ai Corinzi ci parla): l’incontro con Gesù e il riconoscerlo come Signore non ci rende perfetti, anzi fa più acuta la consapevolezza delle nostre mancanze, facendoci allo stesso tempo capaci di testimoniare la sua eccedente potenza di vita proprio a partire dalla nostra debolezza. Nessuno annuncia ciò che l’ha già salvato e che non ha più bisogno di ascoltare, ma piuttosto annuncia ciò su cui fonda il proprio vivere, ciò in cui spera, ciò su cui è pronto a gettare le reti e che lo fanno scoprire sempre inadeguato. È così da quel giorno sul lago, quando le barche quasi sono affondate, è stato così quando i diversi testimoni (sarebbe bello vedere, scorrendo il testo di Paolo, quanti e quali sono i testimoni autorevoli su cui si fonda la vita della chiesa e che noi riduciamo erroneamente solo a dodici!) hanno raccontato la resurrezione di Cristo, è così adesso ed è vero per ciascun credente, chiamato allo stesso cammino di Simone. Non ci è chiesto che ascoltare e seguire, perché altri possano vedere la stessa eccessiva bellezza che abbiamo visto noi e davanti alla quale, con loro, ci inginocchiamo ancora oggi.

05 - Feb - 2021

V Domenica T.O. (B)

Tempo Ordinario

V Domenica T.O. (B)

(Gb 7,1-4.6-7   Sal 146   1Cor 9,16-19.22-23   Mc 1,29-39)
Domenica 7 Febbraio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Gesù esce dalla sinagoga dove aveva zittito e cacciato uno spirito impuro ed entra in una casa. Entra nello spazio della quotidianità, delle relazioni, della vita reale fatta di problemi e piccolezze, delle gioie semplici del tempo condiviso che lega le persone. Il Signore Gesù non varca i palazzi del potere, i palcoscenici o i luoghi adibiti al sacro, entra invece nella casa delle persone semplici, che lavorano e hanno famiglia. In questo spazio, che è il nostro, comincia a combattere il male: caccia la febbre della suocera di Pietro quindi ingaggia una vera e propria lotta contro malattie e demoni. La porta della casa abitata da Gesù si spalanca e offre guarigione, liberazione, vita. Comincia dopo il tramonto del sole e poi al mattino presto (ha continuato per tutta la notte?) si ritira in preghiera.

Questa notte era stata forse come quella di Giobbe descritta dalla prima lettura di questa domenica: davanti a tanto dolore, a tanti bisogni degli esseri umani, il tempo che correva via, la sua stessa vita poteva sembrare a Gesù un’illusione, una spola del telaio che fa avanti e indietro continuamente. L’impresa di liberare tutti non era possibile, per un guarito ce n’erano un’infinità afflitti da altre sofferenze. “Ricordati che un soffio è la mia vita”: così Giobbe di fronte all’assurdo della sua malattia e forse così anche Gesù di fronte alla sofferenza del mondo. Semplicemente soverchiante.

Si raccoglie in preghiera. Poteva fermarsi nella casa di Pietro, farsi amare da quelli che beneficava, diventare il loro punto di riferimento, contare ogni giorno il bene fatto, godere di quello che poteva fare. Invece nel silenzio, lasciati insoddisfatti quelli che cercano solo un po’ di sollievo, decide di andare oltre.
Non è lui che salverà il mondo, non ciò che lui sa fare, nemmeno i prodigi che gli escono dalle mani. Sarà invece la parola che il Padre lo ha mandato a dire a salvare il mondo, perché questa parola leggera, che con tanta facilità cade a vuoto, ha la forza di far trionfare la vita sempre e comunque, anche dove la guarigione non può arrivare e il lieto fine non si dà. Questa parola fa suonare il silenzio e colora il buio. Deve andare altrove, così queste persone capiranno che non è il potere che lui ha che va cercato, ma la parola che lui lascia, l’unica che può portare davvero salvezza.
Come Gesù anche Paolo (nella seconda lettura) si dedica totalmente all’annuncio, rifiutando ogni vantaggio o riposo, pronto a farsi tutto a tutti pur di annunciare il Vangelo e salvare ad ogni costo qualcuno. “Tutto faccio per il Vangelo, per esserne partecipe anch’io”. Questo accade a chi, come Gesù, dopo tanta lotta contro il male comprende nel silenzio che ciò che porta infallibilmente la vita è proprio il Vangelo e così non si preoccupa più dei risultati raggiunti o di quanto bene si può misurare o vedere, ma passa oltre portando una parola che vuole arrivare ovunque, perché come il vento può infilarsi dentro ogni ferita, risanare ogni piaga, mettere in fuga ogni morte anche là dove nessuno se ne accorge. Così, mite e nascosto, Dio salva il mondo nello stesso modo in cui l’ha creato: parlando. Davvero grande è la sua potenza e la sua sapienza non si può calcolare.
08 - Feb - 2020

V Domenica del T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

V Domenica T.O. (A)

(Is 58,7-10   Sal 111   1Cor 2,1-5   Mt 5,13-16)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il Vangelo accolto e creduto opera in noi come una luce che ci permette di illuminare la nostra vita e il mondo intorno a noi. I credenti e la chiesa intera sono, quindi, come una lampada che è posta in alto proprio per illuminare tramite le opere belle (questa la traduzione letterale dell’aggettivo usato da Matteo) davanti alle quali gli uomini e le donne intorno a noi riconoscono che Dio è buono e opera meraviglie. Il Padre che è nei cieli, infatti, si fa improvvisamente vicino nella bellezza delle opere dei credenti, opere sorte da un cuore consegnato all’amore di Dio, e così gli esseri umani in queste opere vedono Dio e ne ammirano la grandezza (rendono gloria), attratti da tanta bellezza.

Similmente dice il profeta Isaia nella prima lettura: davanti a te camminerà la tua giustizia e la gloria del Signore ti seguirà, perché là dove si vive secondo il cuore di Dio (la giustizia), Dio diventa visibile e palpabile. Il profeta fa l’elenco delle opere belle: condividere (e quindi digiunare, privarsi di qualcosa) con chi non ha cibo, luogo per riposare e vestiti; abbandonare l’oppressione e ogni parola che non porti vita; aprire il cuore a chi è privo del necessario per vivere (sia materialmente che spiritualmente). Queste opere belle fanno spuntare l’aurora nel buio della storia e persino le tenebre che ci portiamo dentro (il peccato, l’incredulità, la paura, le ferite) diventeranno luminose come il sole di mezzogiorno. Chi crede, dunque, vive in modo tale da mostrare la potenza vivificante di Dio e allora anche ciò che annunciamo (senza bisogno di strategie comunicative o prodigi) sarà credibile, perché si tratterà soltanto di spiegare chi è che opera la bellezza che chi ci ascolta ha già visto.
Tutto questo accade, però, come ci mostra la seconda lettura tratta dalla prima lettera ai Corinzi, se non ci affidiamo ad altra logica (sapienza) e ad altra efficacia (potenza) che quella che viene dal Vangelo. Se dovessimo confidare in altre logiche e altri poteri, anche fossero buoni e legittimi, non compiremmo più le opere belle che fanno vedere la presenza di Dio, ma al massimo opere “ammirabili” o “affascinanti” che attirerebbero verso cose buone o verso di noi, senza che si possa cogliere la potenza vivificante del Padre. Succede quando la chiesa (o ciascuno di noi) si affida invece che allo stile di Gesù a quello dei potenti, quando si vuole essere influenti ed efficaci, con spazi di azione, ruoli di potere, oppure quando confida in ciò che si sa o nei valori che si propugnano, dimenticando di presentarsi agli uomini “nella debolezza e con molto timore e trepidazione”. Allora la parola che annunciamo viene contraddetta dalla nostra vita che si fonda non su Dio e sul suo amore, ma sul nostro successo, su ciò che riusciamo a fare per affermarci e ottenere ciò che riteniamo buono, come se Dio non ci fosse. Ed è così che il sale perde il sapore, non dando sapidità al cibo in cui viene disperso, ma al contrario prendendo il gusto del cibo e lasciandolo com’era. In questo caso il sale non servirà più a niente, solo ad essere gettato via e calpestato come qualcosa che non ha alcun valore.
Se invece vivremo per il Signore crocifisso, non confidando in altro che nel suo amore e non volendo scegliere che il suo stile, tutto ciò che toccheremo avrà sapore e, nonostante il dolore e le tenebre che sperimentiamo in noi, vedremo altri illuminati e guariti, perché le opere belle che vengono da Dio portano la luce della vita.
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani