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19 - Giu - 2021

XII Domenica T.O. anno B

Tempo Ordinario

XII Domenica

Tempo Ordinario anno B

(Gb 38,1.8-11   Sal 106   2Cor 5,14-17   Mc 4,35-41)
Domenica 20 Giugno 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il capitolo quarto del Vangelo di Marco raccoglie le parabole del seme (la parabola del seminatore, quella del seme che cresce da solo e quella del granello di senape) che illustrano tutte la potenza mite e umile della parola che si immerge nella nostra terra (in quello che siamo), mette radici (anche se dipende da quanto il terreno sa essere sgombro) e poi cresce da sé, giorno e notte, e cresce a dismisura, anche fuori posto, dove nessuno avrebbe creduto sarebbe potuto crescere niente. Ci vogliono solo fiducia e pazienza e il seme darà i suoi frutti. Alla fine di questo discorso Gesù e i suoi si mettono in mare per andare dall’altra parte e si scatena una tempesta spaventosa, mentre Gesù dorme.

Dorme Gesù nel mezzo della tempesta, quando abbiamo paura, quando non sappiamo fronteggiare i pericoli perché sono troppi e troppo grandi. Come i discepoli ci viene da svegliarlo: non ti importa che moriamo? Gesù si veglia e minaccia il vento e il mare che si calmano. Improvvisamente, dalla quiete del sonno che fa inermi tutti gli esseri umani, si erge a Signore, in tutto simile a Dio che parla a Giobbe (nella prima lettura): io ho chiuso il mare fra due porte, decidendo il suo limite. Lui parla e, come afferma il salmo, la tempesta è ridotta a silenzio e noi usciamo dalle nostre angosce.

Eppure dopo aver fatto questo, lasciando i discepoli pieni di timore, chiede: “Perché avete paura, non avete ancora fede?”. Verrebbe da dire che hanno dimostrato la loro fede proprio svegliandolo: non hanno creduto così che lui poteva salvarli? E che cosa è questa paura che Gesù oppone alla fede? Non può essere certo l’incoscienza di chi non riconosce la gravità dei pericoli. Forse Gesù rimprovera ai suoi di non avere fede perché non hanno assunto la logica del seme. Nel mezzo del pericolo, mentre la tempesta infuria (la vita non è una tempesta nella maggior parte dei casi?) cercano un dio onnipotente che scacci i pericoli e li metta in salvo, ma Gesù non ha insegnato questo su Dio: ha insegnato la logica del seme che cade nella terra e con essa soffre la siccità o la tempesta, fatica in mezzo alle spine e non riesce a trovare radici se ci sono sassi. Gesù ha insegnato il Dio umile che lotta con gli esseri umani, che li rende liberi e coraggiosi, che soffre per loro, che affronta la morte con loro.

Non avete ancora fede? La fede non significa credere che Dio tolga tutti i problemi: non è mai accaduto e mai accadrà. Credere poi che le sofferenze non toccheranno a chi crede, mentre toccano a chi non crede è terribile. I discepoli non hanno ancora fede perché non assumono la logica del seme, della mitezza e della pazienza di Dio, che ci chiede di affrontare le tempeste in altro modo, senza miracoli, che pure a volte possono accadere. Nella seconda lettura (seconda lettera ai Corinzi) Paolo ci aiuta a vedere in Gesù la logica del seme. Lui è morto per tutti: non si è sottratto alla tempesta e se ha svegliato i suoi nel momento del bisogno è stato solo per non rimanere da solo. Morendo per tutti ci ha mostrato la potenza del seme piantato nella carne degli esseri umani, che rende capaci di dare la vita e di risorgere, e così tutti quelli che vivono non vivono più per se stessi, ma per lui. Si tratta di una novità inaudita, questa parola ci fa nuove creature e rende nuovo tutto: non viviamo più per noi stessi avendo come uno scopo accaparrarci vita e difenderci dalla morte, per cui anche Dio dovrebbe servire soprattutto a questo (perché dormi, non ti importa che moriamo?), ma viviamo per lui, affascinati dalla logica della mitezza e dell’umiltà proprie dell’amore e certi dei frutti di vita che persino morendo il seme può portare.

Perché avete paura? Non si tratta di non temere la tempesta (sarebbe sciocco), né di pensare che Dio risolva sempre tutto se noi facciamo le cose giuste o ci fidiamo abbastanza (sarebbe idolatrico), si tratta di sapere (la fede è un’esperienza) che la parola seminata nei cuori è più potente del mare e del vento e che persino la morte, immersa nel grembo di vita che Dio è, si arrende per lasciare spazio alla fecondità inesauribile della vita. Nessuno può sfuggire la morte, né le tempeste, nemmeno Gesù l’ha fatto, può però vedere in azione la vita sempre e in tutta pazienza e umiltà, come Dio, attenderne i frutti. Questa consapevolezza fa nuove tutte le cose.

20 - Giu - 2020

XII Domenica T.O.(A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XII Domenica T.O.(A)

(Ger 20,10-13   Sal 68   Rm 5,12-15   Mt 10,26-33)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

La seconda lettura di questa domenica ci presenta un brano (fra i più complessi da interpretare) della lettera ai Romani, nella quale Paolo ci parla di due inizi, simboleggiati da due uomini: Adamo e Cristo. Adamo è (simbolicamente) l’inizio dell’umanità e anche della rottura del rapporto con Dio che ci fa sperimentare la morte, Cristo invece è (realmente) l’inizio di una umanità nuova, liberata dal potere del peccato e della morte, perché in Cristo la potenza vivificante di Dio si è mostrata in tutto il suo vigore.

Ora, proprio la certezza del potere che Dio ha sulla morte e sul male, come anche sull’ingiustizia e l’oppressione (perché a tutto questo Gesù è stato sottoposto risultando vincitore), ci infondono fortezza e speranza nel momento in cui sentissimo che la nostra vita viene minacciata. Il profeta Geremia esprimeva questa speranza, nel momento in cui i suoi nemici si radunavano sperando di trarlo in inganno di prendersi la vendetta su di lui, affermando di avere a fianco il Signore come un prode valoroso, come se una guardia del corpo forte e addestrata girasse con noi per le strade di notte: non ci sentiremmo certo come se dovessimo girare da soli per quartieri malfamati, scrutando ogni ombra e sobbalzando ad ogni rumore. Il profeta, consapevole di questa presenza, affida a Dio la sua causa, certo che il giusto non verrà abbandonato. E quello che accade quando si affida a Dio la propria vita in pericolo viene cantato nel salmo: sono diventato un estraneo ai miei fratelli perché mi divora lo zelo per la tua casa, ma io mi rivolgo a te, tu volgiti a me nella tua grande tenerezza. Chi cerca Dio si fa coraggio perché sa che il Signore ascolta i miseri e non disprezza i suoi che sono prigionieri.
Sulla stessa linea sta quanto affermato da Gesù in questo brano di Matteo, che appartiene al grande discorso missionario (il secondo del primo Vangelo). Gesù insiste più volte sul fatto che non dobbiamo avere paura.
Non dobbiamo avere paura, perché ciò che è nascosto (magari le opere malvagie degli uomini e le loro intenzioni meschine) verrà alla luce, come verranno alla luce quali sono le opere della giustizia e chi le compie (avere questa speranza vuol dire però essere certi che Dio può sconfiggere le forze del male che minacciano il mondo e noi, anche se queste riescono a vincere non poche battaglie).
Non dobbiamo avere paura perché chi ci fa del male, anche potesse ucciderci, non ha il potere di toglierci la vita se rimaniamo in Dio (perché la vita vera non coincide con la morte del corpo: si può perdere la vita anche senza morire e si entra nella pienezza della vita proprio morendo).
Non dobbiamo avere paura, infine, perché agli occhi di Dio noi valiamo molto e lui non smette di custodirci e di condurci alla vita.
A volte la strada si fa difficile: odio, persecuzione, minacce fisiche, violenze, diffamazione o semplicemente l’isolamento e la derisione ci fanno sentire che vengono minate le fondamenta della nostra vita, che non abbiamo il potere né le capacità di difenderci, che siamo perduti. In questi momenti bisogna solo rimanere fermi nella certezza che il Signore libera il povero dalla morte e che conta ogni capello del nostro capo con un amore tenero che guarda con incanto e cura persino ciò che in noi continuamente si rinnova, come i capelli sulla testa o le unghie delle dita.
Questa certezza del suo amore, resa evidente da come affrontiamo le avversità e i pericoli, è la nostra testimonianza più efficace. Non confidare nelle logiche degli oppressori, nella manipolazione, negli espedienti, nei favori, nel potere e nel denaro, pur di difendersi e affermarsi, ma confidare in Dio preferendo rimanere nella verità e nella giustizia, costi quello che costi, perché così lui non ci rinnegherà e questa è tutta la nostra forza, quello che ci fa vivere veramente. La paura che non dobbiamo avere, infatti, non è l’emozione che sorge in noi davanti al pericolo (questa è incontrollabile e fisiologica), ma quella paura che ci porta a cercare strategie di difesa altrove smettendo di confidare in Dio, come se su di lui non si potesse contare, e smettendo di vivere secondo la sua Parola, come se non portasse da nessuna parte. Invece proprio il nostro modo di stare di fronte a chi pensa di farci del male o di toglierci la vita, senza rinnegare Dio e la sua Parola, diventa testimonianza efficace nell’amore potente di lui e rende credibile al mondo il Vangelo che ci ha fatto rinascere in Cristo, facendoci pregustare la sua vittoria su ogni morte e ogni pericolo.