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22 - Lug - 2021

XVII Domenica T.O. anno B

Tempo Ordinario

XVII Domenica

Tempo Ordinario anno B

(2Re 4,42-44   Sal 144   Ef 4,1-6   Gv 6,1-15)
Domenica 25 Luglio 2021

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

A partire da questa domenica, per qualche settimana, interrompiamo la lettura del Vangelo di Marco per dedicarci al sesto capitolo del Vangelo di Giovanni nel quale è riportato, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani che leggiamo questa domenica, un lungo discorso di Gesù sul pane della vita.

Nel Vangelo ci viene raccontato (con una dinamica praticamente sovrapponibile a quella dell’episodio narrato nella prima lettura e che vede protagonista il profeta Eliseo) che a partire dal poco cibo che un ragazzo aveva con sé viene sfamata una moltitudine di persone e con una tale abbondanza da poter portare via gli avanzi. Il segno che Gesù compie viene incorniciato dalla reazione della folla: all’inizio si dice che lo seguono sul monte perché hanno visto i segni sugli infermi, poi – alla fine – dopo che la folla è stata sfamata si racconta che, visto il segno, vogliono farlo re, ma Gesù si ritira sul monte, questa volta solo. Perché Gesù sfama la folla se poi rifiuta il “successo” che gli viene da ciò che ha compiuto? Sembrerebbero essersi convinti del fatto che è un profeta, quello che deve venire: perché dunque Gesù si sottrae?

I segni sono sempre ambigui: possono distrarci con la loro efficacia e la loro forza e in questo modo possono farci pensare che Dio è colui che risolve i problemi, colui che conviene avere vicino per trarne tutti i benefici possibili e tangibili: salute (lo seguono per i segni sugli infermi), cibo (vogliono farlo re dopo essere stati sfamati). Non è questo però il motivo per cui Gesù compie dei segni e non è questo il significato che essi svelano: questo sarà evidente sulla croce che nel Vangelo di Giovanni è il segno per eccellenza, posto nella nudità più radicale.

Quale potrebbe essere dunque il significato del segno della moltiplicazione dei pani? Certamente l’evangelista, nel raccontare questo segno, ha in mente la celebrazione eucaristica: i credenti che si radunano per ricevere in dono un pane che è capace di sfamarli tramite quello che loro stessi condividono. Gli esegeti commentano spesso questo segno – riportato anche dagli altri Vangeli – dicendo che forse il miracolo compiuto da Gesù è stato riuscire a far mettere in comune quel poco che ciascuno aveva con sé: una volta che tutti hanno condiviso il poco che avevano, si accorgono che non solo basta per tutti, ma che ne avanza abbondantemente. E questa è proprio la logica della celebrazione eucaristica: la chiesa si raduna e ciascun credente porta con sé la propria offerta – in denaro, per la vita della chiesa e per i poveri, ma anche in doni, esperienze vissute, fatiche e gioie – e a partire da questa condivisione lo Spirito di Dio realizza un pane da spezzare insieme nel quale Cristo stesso è presente, vivo, operante.

Gesù moltiplica i pani, dunque, non per esaltare se stesso, per insegnare ai suoi l’unità (che viene descritta e rimarcata splendidamente dalla seconda lettura tratta ancora dalla lettera agli Efesini): offrendosi reciprocamente ciò che sono, i credenti possono essere resi un corpo solo dal dono di Dio e così il poco che abbiamo diventa così tanto da permetterci di sfamare non solo i fratelli e le sorelle che siedono a mensa con noi, ma anche tutti gli altri dai quali torniamo. L’unico pane che mangiamo (quanto sarebbe importante mangiare tutti il pane consacrato nella celebrazione cui partecipiamo!), il pane in cui Cristo si fa presente, è impastato delle nostre vite dunque e così ci nutriamo reciprocamente, perché il poco che abbiamo condiviso viene abitato da Dio e si moltiplica. A noi solo il compito di custodire questo dono con umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore, rinsaldando il vincolo della pace, ricordando che abbiamo un’unica speranza, un’unica fede e un solo Padre che opera per mezzo di tutti e in tutti è presente, là dove ci sediamo gli uni accanto agli altri per offrici ciò che abbiamo, quanto sia poco non importa davvero.

24 - Lug - 2020

XVII Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XVII Domenica T.O.(A)

(1Re 3,5.7-12   Sal 118   Rm 8,28-30   Mt 13,44-52)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

“Chiedimi ciò che vuoi io ti conceda”. Questo è quello che Dio dice a Salomone che è appena diventato re. Che cosa chiederemmo noi? Quale desiderio ci sorge spontaneamente nel cuore all’idea di sentire rivolte a noi queste parole da parte di Dio? Salomone chiede di diventare adulto, è solo un ragazzo e chiede di saper distinguere il bene dal male per governare con giustizia. Chiede di essere reso responsabile di ciò che gli viene affidato. Non cerca il proprio vantaggio o qualche forma di affermazione personale, ma la capacità di farsi carico di altri per farli vivere. A lui che cerca di vivere la propria responsabilità con giustizia Dio concede il dono di una sapienza unica.

Forse la stessa dinamica spirituale è quella che coinvolge i protagonisti delle prime due parabole raccontate nel Vangelo di questa domenica. Sia colui che scopre il tesoro nel campo, sia chi trova la perla preziosa, sono persone adulte impegnate nelle proprie responsabilità: uno molto probabilmente lavorava il campo dove trova il tesoro e l’altro era in cerca di perle per mestiere. Il regno dei cieli non casca dall’alto mentre ci si trastulla in vite irresponsabili o mentre ci si approfitta degli altri senza far vivere nessuno, il regno dei cieli si incontra mentre ci si carica delle responsabilità che la vita ci chiede, quando scegliamo di essere adulti e cioè di distinguere il bene dal male per fare il bene. Chi vive così sa accorgersi di quanto valgano il bene e l’amore che Dio offre, del tesoro o della perla che meritano tutto ciò che possediamo, proprio perché, come Salomone, non vuole altro che vivere facendo il bene di coloro che gli sono affidati (in famiglia, sul lavoro, nella società, nella chiesa…).
Possiamo scoprire allora immersi nel laborioso e responsabile impegno quotidiano che alla radice e alla fine di ogni nostro gesto e di ogni nostro sentire c’è un mistero prezioso di amore che ci si offre, che diventa (come dice il salmo) la nostra consolazione, la nostra vita e l’intelligenza dei semplici. Con questi occhi riusciremo a vedere sul mondo e su di noi il disegno bellissimo di Dio, la sua volontà d’amore che ci conosce, ci chiama per essere come Cristo figli suoi, ci giustifica e ci conduce alla gloria: così san Paolo nel brano della lettera ai Romani proposto per questa domenica. Dio ha un disegno di amore per il quale (riprendendo le parabole) vale la pena vendere tutto ciò che si ha (cioè far girare tutta la nostra vita intorno a questo amore). E questo amore è così invincibile che Paolo arriva ad affermare che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Tutto.
Eppure esiste il male: anche l’ultima parabola, così simile a quella della zizzania, ci parla di pesci buoni e pesci cattivi insieme, ricordandoci il rischio serio di smarrirsi nella propria ricerca, incapaci di riconoscere il valore del tesoro e della perla. Ma se esiste il male come può concorrere tutto al bene?
Non certo attribuendo a Dio il male, per cui Dio manderebbe le sciagure o permetterebbe i nostri crimini per poi ricavare il bene. Voi cosa pensereste di qualcuno che compie o permette una strage per ottenere un qualsiasi bene sociale? Sembra la logica dei terroristi e Dio non è certo così. Dio non provoca né usa il male né lo vuole (mai!), lo vince piuttosto. Per questo il male cambia di segno, non perché diventa un bene (il male resta male), ma perché l’amore invincibile di Dio trova vie straordinarie per vincere ogni pena, ogni peccato, ogni morte, e rinnovare sempre la vita. Chi intuisce la profondità e la bellezza di questo amore, non può che vendere tutti i propri averi, anche fosse ciò che ha costruito in una vita, per godersi con gioia quello che vale più di tutto e ci fa dire con il salmista: la mia parte è il Signore, bene per me è la legge della tua bocca più di mille pezzi d’oro e d’argento. Più di tutte le ricchezze e le vittorie. Più di tutto, più della nostra stessa vita.