XVIII Domenica T.O. anno B
XVIII Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Es 16,2-4.12-15 Sal 77 Ef 4,17.20-24 Gv 6,24-35)
Domenica 1 Agosto 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
Dopo la moltiplicazione dei pani, che abbiamo letto domenica scorsa, il sesto capitolo del Vangelo di Giovanni continua con un confronto fra Gesù e la folla che lo interpella. Gesù si era sottratto da coloro che volevano farlo re, che però continuano a cercarlo e ai quali contesta il fraintendimento di ciò che lui ha operato: mi cercate perché vi siete saziati non perché avete visto dei segni. Il pane che Gesù ha offerto alla folla non aveva lo scopo di saziare quindi, ma era un segno, qualcosa capace di mostrare quale sia il vero nutrimento: chi si era fermato al pane e alla sazietà aveva frainteso tutto.
Il pane di Gesù, infatti sfama, ma non sazia. Gli esseri umani invece spesso inseguono l’illusione della sazietà, di vivere cioè senza sentire i bisogni e senza dover cercare ciò che serve, sul piano materiale, affettivo o sociale: l’uomo vecchio (per usare i termini della seconda lettura, ancora dalla lettera agli Efesini) insegue la sensazione della sazietà, cercando di negare il dato fondamentale della condizione umana, il fatto cioè che dobbiamo ricevere continuamente vita da Dio, dagli altri e dal creato. La vita umana non conosce la sazietà che non sente il bisogno di nuovo nutrimento se non per pochi e brevi momenti, quasi sempre invece si sperimenta la necessità di essere nutrita un giorno dopo l’altro, quel tanto che basta, come accadeva agli ebrei nel deserto con la manna che ricopriva la terra ogni mattina e non durava più di un giorno (prima lettura).
Occorre allora (per riprendere ancora le parole della seconda lettura) rinnovare lo spirito della nostra mente e smettere di inseguire tutte quelle passioni (anche di stampo religioso) che ci promettono illusoriamente una sazietà di qualsiasi tipo, per rivestire invece l’essere umano nuovo nella giustizia (stando davanti a Dio come chi non può che riceversi continuamente da lui) e nella santità (lasciandosi nutrire per nutrire altri).
Possiamo fare nostra la domanda della folla a questo punto: che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? L’opera per eccellenza è riconoscere e credere al cibo con cui Dio ci nutre e che – oltre a concretizzarsi nei molti e diversi doni che continuamente ci sono rivolti – tocca il culmine nella persona di Gesù che è stato mandato proprio per darci vita. Il Signore, infatti, (senza saziarci, perché non cercheremmo più lui né ci muoveremmo verso altri, ma ingannevolmente inseguiremmo questa condizione che può solo essere provvisoria) ci sfama e ci disseta con la sua parola da fare nostra, con la sua vita, con la sua presenza nel mondo e nella liturgia, rendendoci forti e pronti a servirlo e camminare. Così ogni deserto della vita, nel quale inevitabilmente sentiamo con più forza la fame e la sete, diventerà prova e memoria della cura quotidiana di Dio (non è questa cura che medita e celebra il salmo responsoriale?) nonché promessa di una vita rinnovata un giorno dopo l’altro, senza fame né sete in eterno, liberati dalla morbosa ricerca della sazietà per poter finalmente riconoscere i segni che continuamente il Signore pone davanti a noi per la vita.