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11 - Ago - 2020

XX Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XX Domenica T.O. (A)

(Is 56,1.6-7   Sal 66   Rm 11,13-15.29-32   Mt 15,21-28)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Il fatto che i pagani potessero entrare a far parte della famiglia di quelli che credevano in Gesù fu un’acquisizione molto faticosa per la chiesa. La loro partecipazione alla salvezza di Dio (come troviamo descritto nella bellissima prima lettura) era intesa come un loro venire ad Israele, al Signore e al suo monte santo, per essere suoi servi. Si comprendeva già che la misericordia e la vita di Dio non potevano essere riservate ad un solo popolo, ma comunque, in qualche modo, si pensava che da questo bisognasse passare: per questo i pagani restavano “altro” e in qualche modo “secondi”.

Che Israele abbia un ruolo strategico nella salvezza di tutti è ribadito, d’altra parte, anche in questo passo della lettera ai Romani (seconda lettura) nel quale – in estrema sintesi – Paolo dice che tale è la chiamata di Dio (tali i suoi doni e la sua grazia) che anche la chiusura di Israele era diventata un dono di salvezza, infatti proprio questa chiusura era stata l’occasione perché i discepoli predicassero il Vangelo ai pagani, cosa che in un primo momento nessuno pensava di fare. Vedendo questo, Paolo si domanda: se persino la chiusura di Israele è stata l’occasione di salvezza per tanti, che cosa accadrà quando si convertirà al Regno?
Il Vangelo di questa domenica ci testimonia poi che anche Gesù è arrivato gradualmente a comprendere che la salvezza potesse toccare i pagani e così ci consola perché spesso anche noi (anche la chiesa) non riusciamo a vedere in quelli che ci sembrano in qualche modo “sbagliati” persone nelle quali Dio opera. Gli esempi potrebbero essere molti: le persone che hanno commesso delitti, ma anche i portatori di handicap, le persone che hanno alle spalle un matrimonio che si è concluso o anche le persone omosessuali, i bambini e gli anziani, per non parlare degli stranieri, dei poveri, delle persone di altra razza e, molto spesso, anche delle donne, che pur essendo chiesa non vengono ancora pensate e trattate pienamente come tali. Abbiamo sempre degli ottimi argomenti (o almeno così ci sembrano) per ritenere che questi altri non godano appieno della salvezza e addirittura riteniamo che sia così per volontà di Dio. L’episodio di questa domenica può essere allora illuminante per convertire il nostro sguardo.
Gesù è un pio israelita, osserva la legge a la ama. Vive in mezzo al suo popolo, il popolo che Dio si è scelto. Quando questa donna pagana gli grida dietro ci mostra un volto che non vorremmo vedere: non le rivolge nemmeno una parola. I discepoli lo pressano solo perché la donna grida forte, forse si vergognano. Ma Gesù è netto: non è stato mandato per portare la salvezza ai pagani. Così facendo però si ferma e la donna ne approfitta. Ella non è interessata alle speculazioni sulla salvezza, né le importa di essere trattata con durezza: nella mente e nelle viscere ha fisso il volto sofferente della sua bambina. Ella sembra sapere che c’è un Dio in Israele e che questo rabbì ha con questo Dio una relazione privilegiata, infatti si prostra davanti a lui e lo chiama Signore. Già questo deve aver incrinato la posizione così ferma di Gesù, che a questo punto parla con la donna, seppure in modo estremamente duro: non è bene dare il pane dei figli ai figli dei cani (perché era così che i giudei chiamavano i pagani). Gesù sta forse dicendo che non può offrire la salvezza a quelli che non la possono comprendere (non date perle ai porci!), perché per questi la guarigione sarebbe solo un prodigio che porta loro un beneficio, non il segno in cui riconoscere l’opera di Dio. E Gesù non è venuto per fare prodigi o per risolvere tutte le sofferenze della terra, ma per far conoscere il Padre ed è convinto che i pagani non lo possano conoscere.
La risposta della donna però gli dimostra altro: anche i figli dei cani si saziano delle briciole che cadono dal tavolo. Ella dimostra di credere nel Dio buono che ha fatto tutto, che sceglie Israele per beneficare tutti, e sembra sapere che anche poche briciole di questa salvezza sono capaci di dare la vita. E Gesù la loda per la sua fede, per ciò che conosce di Dio e per come lo ama e le accorda che accada ciò che lei desidera.
E così se Pietro era stato un uomo di poca fede e era affondato nel mare dopo aver visto le opere di Gesù e averne sentito gli insegnamenti, questa donna straniera, appartenente ad un popolo nemico, dimostra di riconoscere il Signore che ai suoi era sembrato un fantasma e di credere in lui, nonostante le parole dure ne avessero velato il volto misericordioso.
Si comincia a profilare qui l’annuncio del Vangelo ad ogni essere umano, ai pagani, come agli schiavi, alle donne come agli eunuchi, ai giudei e ai ricchi, come ai poveri e ai peccatori, che costituiscono con tutti quelli che credono un solo corpo vivo. Nel Vangelo di Matteo Gesù lo dirà espressamente solo alla fine, quando manderà i suoi a tutte le genti, ma molto probabilmente è in questo giorno, fissando il volto invincibile di questa madre pagana e perdendosi nei suoi occhi colmi di amore e di dolore, che comincia ad intuire che il Padre che è nei cieli è padre di tutti e che – come aveva appena insegnato – non è ciò che gli esseri umani mangiano a renderli puri (differenza essenziale fra giudei e pagani…alla quale potremmo aggiungere oggi altre differenze, cui prima accennavo) ma ciò che esce dal loro cuore: solo ciò che hanno nel cuore.
17 - Ago - 2019

XX Domenica del Tempo Ordinario

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuoredall’orecchio alle mani

XIX Domenica del Tempo Ordinario

Commento della nostra parrocchiana Simona Segoloni Ruta – Teologa

Nel Vangelo di oggi, che riprende pochi versetti più avanti il capitolo dodicesimo di Luca che stiamo leggendo da qualche domenica e che contiene una serie di insegnamenti per i discepoli, ascoltiamo una parola che sulle labbra di Gesù non ci aspetteremmo mai, perché parla di divisione. Gesù pone una domanda: pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra? Noi risponderemmo sì o almeno vorremmo rispondere di sì e invece lui dichiara che proprio per ciò che lui porta tutti si divideranno: non conteranno più nemmeno i legami familiari, il Vangelo sarà motivo di divisione comunque.

Si tratta di una parola inquietante, che continua l’insegnamento sulla fede che abbiamo già visto nelle domeniche passate. La fede, infatti, determina una tale ridefinizione della persona che chi diventa credente è immediatamente individuabile e si distingue dagli altri, non certo perché li disprezzi o se ne separi (al contrario), ma perché ciò che lo guida è il Vangelo, l’amore di Dio e del prossimo e niente altro. Le logiche usuali – relazioni familiari, interessi economici, benessere fisico, influenze politiche, sociali o quant’altro – non sono più criteri di riferimento, al contrario tutto viene ridefinito alla luce del Vangelo che diventa l’unico criterio da seguire e questo fa una differenza decisiva.

Ora, la differenza può arrivare a dividere o persino portare guerra o persecuzione come accade a Geremia nella prima lettura. Geremia non può dire ciò che fa contento il popolo e i capi, perché è spinto solo dal desiderio di servire Dio e la sua parola, ma questo gli costa la libertà e mette a rischio la sua vita, fino a che Dio, tramite un uomo, lo libera. Se Geremia avesse agito spinto dall’istinto di preservarsi o dalla volontà di farsi accettare e onorare dal popolo, non sarebbe stato separato dagli altri e imprigionato, ma il fuoco che lo abita – quel fuoco che Gesù desidera vedere acceso – gli impedisce di comportarsi in modo da tutelare se stesso, brucia invece dal desiderio di dire e vivere la parola di Dio. Al capitolo 20 del libro di Geremia così viene descritto l’animo del profeta: “La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”(Ger 20,8-9). Questo fuoco, l’amore di Dio in noi che ci spinge, non può essere trattenuto e stravolge tutte le logiche umane che ripongono speranze e cercano vita altrove.
Come si fa a vivere tutto questo, quando vediamo che concretamente ci danneggia? Se vivere la fede ci dovesse impoverire, togliere tempo per il riposo e per la salute, oppure farci perdere occasioni sociali o affetti? Quando la lotta si fa dura, quando sentiamo la fatica della vita e anche del nostro peccato che ci fa scoraggiare di fronte all’impresa (perché ci dice che non siamo in grado di vivere il Vangelo e che quindi non è per noi), possiamo ricordare, come leggiamo nella seconda lettura tratta dalla lettera agli Ebrei, che non siamo soli in questa impresa, perché intorno a noi c’è un popolo di testimoni, molti che hanno vissuto spinti solo dall’amore di Dio e del prossimo, molti che ci confermano che è possibile e che questo porta alla vita. Non corriamo soli dunque, ma siamo trascinati da una folla e in questa situazione è più difficile stare fermi che camminare. Inoltre abbiamo davanti agli occhi Gesù, su cui tenere fisso lo sguardo. La sua vicenda, come quella di Geremia nella cisterna, ci dice che Dio libera e salva e che la fatica che ci minaccia non può danneggiarci.
Si tratta allora di lasciarsi prendere dall’amore del Padre, per  vivere, come Gesù, totalmente consegnati ad esso. E se questo dovesse costarci molto o ci toccasse resistere fino al sangue, non ci scoraggeremo: quelli cui dobbiamo mostrare l’amore del Padre ci interessano di più, per cui lasceremo ardere il fuoco che il Vangelo ci ha acceso dentro e questo ci condurrà alla vita.