XXIV Domenica T.O. anno B
XXIV Domenica
Tempo Ordinario anno B
(Is 50,5-9 Sal 114 Giac 2,14-18 Mc 8,27-35)
Domenica 12 Settembre 2021
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
La fede non è un sistema di pensiero che ci aiuta a non sentirci angosciati perché ci dà il senso della vita, né è un insieme di valori che poi dovrebbero costruire un tipo di società o un tipo di contesto culturale, molto più semplicemente la fede è la consapevolezza (che nasce da un’esperienza) di essere amati da Dio in Cristo e di essere abitati dallo Spirito di lui. Quando accade questo, le opere (pur nella fragilità e nelle contraddizioni che tutti conosciamo fin troppo bene) vengono di conseguenza: quando si ama e si è amati, non bisogna comandarsi di stare insieme o di prendersi cura gli uni degli altri, così quando si è in questa relazione con Dio non si può non amare, imperfettamente e faticosamente magari, ma non si può non amare. Se le opere non dicono questo amore, non lo incarnano, allora il problema è la fede, qualunque sia il sistema di valori o l’idea del mondo che pensiamo di avere. Per questo la lettera di Giacomo (seconda lettura) afferma: se la fede non è seguita dalle opere, in se stessa è morta, cioè non c’è.
Ma forse è il Vangelo di questa domenica che può aiutarci a scendere più a fondo e a rispondere alla domanda di quali siano le opere della fede. Gesù interroga i suoi su ciò che la gente pensa di lui, i discepoli rispondono con l’entusiasmo di quelli che seguono – e che sono stati scelti – da un uomo di successo, acclamato, ascoltato, considerato come veniva considerato il più grande dei profeti. Gesù li provoca a esporsi in prima persona: voi chi dite che io sia? E Pietro, la cui irruenza emerge più volte nella trama dei racconti, subito riconosce in Gesù il Messia. Chissà cosa il Signore avrà pensato. Si sarà accorto che questa dichiarazione, vera dal punto di vista delle parole (davvero lui è il Messia!), era sbagliata nei contenuti, perché Pietro aveva scelto di seguire un messia glorioso e vittorioso? Oppure l’ha compreso solo quando, dopo aver insegnato che avrebbe dovuto soffrire e morire, si è sentito rimproverare da Pietro, come se la sofferenza e il fallimento fossero incompatibili con l’essere l’unto del Padre? Si intravvede nelle parole di Gesù la passione, evocata anche dalla prima lettura tratta dal profeta Isaia: sputi, insulti, flagellazione. Perché seguire Gesù se questo è ciò che l’aspetta? Perché seguire uno che non ha salvato nemmeno se stesso? Perché io lo seguo?
Gesù d’altra parte – come anche il protagonista del brano del profeta Isaia – apre alla speranza, non perché verrà risparmiato dalla morte, ma perché risorgerà (nella prima lettura: Dio mi assiste, non resterò confuso). Ci mostra così quale è l’opera della fede: vivere fino in fondo la parola d’amore del Padre – qualunque cosa costi – aspettando da lui la vita e la salvezza, nel momento in cui amarlo e amare gli altri ci dovesse portare – e molto spesso, seppure in modi diversi questo accade – alla sofferenza e alla morte. Non possiamo seguire Gesù perché questo ci tutela dalle sofferenze e dal rifiuto, né perché ci scansa la morte o la paura della morte: la sua storia ci dice chiaramente che questo non accade. Possiamo seguirlo se il suo modo di vivere, il suo amore per il Padre, è ciò che vogliamo vivere anche noi, al punto da riuscirci a consegnare ad esso completamente.
Il Maestro stesso ci dice come fare: rinnegare se stessi e prendere la croce. In queste parole possiamo leggere l’invito a rinnegare ciò che abbiamo imparato a fare per sentirci sicuri, amabili e buoni, affermati e riconosciuti. Rinneghiamo gli schemi di esperienza che ci spingono a cercare noi stessi, a non sentire le ferite e la debolezza, a fare di tutto per essere forti o sentirci al riparo. Smettiamo di cercare qualsiasi cosa che non sia la croce, cioè la logica dell’amore del Padre che desidera che tutti vivano. Solo così alla nostra fede, all’aver cioè compreso e conosciuto l’amore di Dio, seguiranno le opere, come dalla gioia viene il sorriso e dalla commozione il pianto. Quotidiano (ogni giorno) e semplice come l’amore.