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01 - Ott - 2020

XXVII Domenica T.O. (A)

Spirito Santo M.I.Rupnik

Spirito Santo M.I.Rupnik

XXVII Domenica T.O. (A)

(Is 5,1-7   Sal 79   Fil 4,6-9   Mt 21,33-43)

Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa

Ancora una volta il Vangelo, per la terza settimana di seguito, ci parla di una vigna in cui bisogna lavorare. Se due settimane fa l’accento era posto sulla bontà del padrone che dona a tutti gli operai, anche a chi ha lavorato un’ora soltanto, quello che serve loro per vivere, la settimana scorsa ci veniva messa di fronte la risposta diversa dei due figli: uno che dice no e poi va a lavorare e l’altro che dice sì ma non ci va. Oggi ci troviamo di fronte dei vignaiuoli che sono al lavoro per i motivi sbagliati, similmente agli operai della prima ora che rimangono delusi della loro paga e similmente al figlio che non comprende il privilegio di poter lavorare nella vigna e che dice un sì senza consistenza.

Questa volta Gesù parla della vigna facendo evidentemente riferimento al suo popolo e riprendendo così un’immagine (cara al Primo testamento) che nella prima lettura del profeta Isaia ci viene ripresentata in modo ricco ed estremamente poetico, quasi la vigna fosse un’innamorata custodita e curata in ogni modo, ma incapace di rispondere all’amore ricevuto con frutti adeguati. Nella parabola di Gesù, però, l’attenzione non è sulla vigna che non produce frutto, ma sui vignaiuoli, cioè su coloro che sono stati mandati dal padrone a lavorare nella vigna che lui ha tanto a cuore.
Forse Gesù si riferisce qui ai capi di Israele che non l’hanno saputo custodire, oggi potremmo applicarlo a tutti coloro che hanno responsabilità ecclesiali o civili, ma anche a ciascun credente al quale viene affidata la vigna del Signore, cioè l’umanità intera, le persone che ha di fianco, la propria vita e l’ambiente in cui tutti viviamo. Dio ha piantato la vita ovunque, l’ha custodita (la circondò con una siepe) e sorvegliata (ha costruito una torre), ma i servi cui l’ha lasciata non si sono preoccupati di mostrare a lui i frutti di ciò che lui aveva piantato, anzi hanno malmenato e ucciso tutti quelli (compreso il Figlio) che, per conto del Signore, venivano a ricordare che ciò che era stato loro affidato doveva  prosperare (questo significa fare frutti).
Non serve lavorare nella vigna, allora, senza ricordare che questa è stata piantata da Dio e che ci è stata affidata perché viva e sia feconda. Inutile dire sì, inutile persino andare a lavorare, inutile faticare sotto il sole fin dalla prima ora, se invece di servire perché tutto cresca, deprediamo perché tutto muoia: la nostra vita e quella intorno a noi. Se facciamo così, Dio interverrà, questo è il monito di Gesù, toglierà i doni fatti dalle mani di chi li distrugge e li darà a chi saprà custodirli. Ciascuno di noi, cui è affidato un tralcio della vigna del Signore, non può fare a meno di domandarsi di fronte a questa parola se stia facendo vivere ciò che gli è affidato o se lo stia devastando.
Forse la seconda lettura (ancora la lettera ai Filippesi) ci aiuta a sintonizzare il cuore sugli atteggiamenti giusti per assumere il lavoro della vigna, così come ha fatto Gesù (per avere i suoi sentimenti, leggevamo domenica scorsa): non angustiatevi (perché l’angoscia porta a fare violenza pur di sentirsi rassicurati) ma presentate a Dio tutti i vostri bisogni e lasciate che i vostri pensieri siano  pieni solo di ciò che giusto, nobile, vero, amabile, mettendo in pratica quanto ascoltato. Lasciandoci riempire cioè dai doni che Dio fa e dalle parole che li accompagnano, potremo godere di quella pace che viene da Dio e che non toglie le fatiche e i timori, ma ce li fa affrontare sapendo che la vita non dipende da noi, che la vigna non è nostra, ma che noi dobbiamo solo prendercene cura perché viva e così rallegri noi e il Padre che tanto la ama.
Oggi è la festa di Francesco di Assisi, che ha vissuto proprio così, sperimentando e offrendo una pace non priva di sofferenze e tormenti, ma, in mezzo a questi, solidamente radicata nella certezza di essere immerso nell’amore del Padre che tutto fa vivere e che lo chiamava a voler anche lui far vivere tutto e tutti, ad essere un vignaiolo gioioso e operoso, circondato da tutto ciò che cresce e vive grazie al quotidiano e umile impegno di ogni giorno.