05 - Ott - 2019
…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuore, dall’orecchio alle mani…
XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Commento della nostra parrocchiana Simona Segoloni Ruta – Teologa
Facciamo un tentativo spregiudicato e leggiamo la prima lettura di questa domenica (la lamentela accorata del profeta Abacuc perché le ingiustizie non finiscono) come un commento al Vangelo di domenica scorsa, cioè la parabola del ricco e del povero Lazzaro che elemosinava alla sua porta.
Di fatto il povero trascorre la vita nell’umiliazione e nella sofferenza. Dio parla, ama, eppure l’oppressione non finisce. Il profeta Abacuc di fronte a situazioni come queste dice: “Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese”. Dobbiamo aspettare la vita dopo la morte per vedere qualcosa di altro, come sembra suggerire il Vangelo di domenica scorsa? In realtà la parabola di Gesù sul ricco e sul povero Lazzaro è per i ricchi egoisti, per indicare loro la via della vita, la possibilità di ascoltare una parola che conduca alla conversione e alla salvezza. Ma per i poveri? “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido e non salvi?”, di nuovo sono le parole di Abacuc.
I poveri, coloro che non opprimono e non usano violenza, i giusti non hanno bisogno di convertire le loro vite, ma hanno bisogno di guardare meglio ciò che accade perché lo sconforto non li prenda distruggendo la speranza. Solo uno sguardo sulla realtà che viene dalla fede, può insegnare a distinguere ciò che è provvisorio per quanto terribile (il male, l’ingiustizia, la morte) da ciò che non passa e che vince tutto (l’amore, la giustizia e la vita). Avere questo sguardo cambia tutto e fa la differenza fra la vita e la morte.
Stamattina non stavo bene e non sono riuscita ad alzarmi presto come al solito, mentre mi rammaricavo di tutto quello che non riuscivo a fare, il mio figlio più piccolo si è infilato sotto le coperte e si è accoccolato vicino a me per molto tempo. Ha potuto farlo solo perché stavo male, altrimenti quando lui si sveglia io sono in piedi da tempo. Era felice, rassicurato, una specie di festa inaspettata. Quello che per me era stato un danno per lui era stato un regalo e lo è diventato anche per me. Gli occhi dell’amore vedono tutto in altro modo, scovano la vita ovunque, cancellano il male ricevuto, trasformano le sofferenze in occasioni, sperano la vita anche nella morte. La fede dona questi occhi sempre e su tutto, perché chi crede è una persona che vive costantemente consapevole di essere infinitamente amata da Dio, niente altro. Questo basta per vivere: il giusto vivrà per la sua fede. Non stupisce allora che la seconda lettera a Timoteo ci esorti a ravvivare il dono ricevuto, a custodirlo e a non vergognarsene: è tutto ciò che serve per vivere.
La fede dunque è una consapevolezza profonda dell’amore del Padre ed è capace di farci vivere in ogni situazione, anche quelle umanamente impossibili: questo vuol dire Gesù nel Vangelo usando l’immagine dell’albero che si sradica e si pianta nel mare. In fondo potremmo immaginarci come un albero che a volte perde la possibilità di affondare serenamente le proprie radici sulla terra, ma anche dovesse accadere la fede ci farebbe vivere e prosperare anche in mezzo alle onde del mare più inospitale.
Tutto ciò però – sembra ammonirci subito Gesù – può essere vissuto solo nell’umiltà. La consapevolezza di essere infinitamente amati e che questo amore è capace di farci vivere non può farci diventare superbi, oppure pretenziosi verso Dio quasi ci dovesse qualcosa o fosse nostro servitore, al contrario l’amore che sperimentiamo ci fa trascorrere i giorni servendo, scrutando intorno a noi per vedere se c’è rimasto qualcosa da fare per servire Dio e i fratelli. Vivremo questo continuo servire non come un vanto, ma come l’ovvio (i servi sono tali perché servono, è quanto devono fare, niente altro) e nonostante ciò lo sentiremo come un privilegio, perché sarà la nostra possibilità di corrispondere all’amore ricevuto. L’amore che ci fa vivere, la fede, non porterà frutto solo per noi allora, ma per tutti quelli che incontreremo e in questo modo si avvererà la sentenza del profeta Abacuc: è posto un termine all’ingiustizia e al dolore. E quando questi saranno debellati potremo guardarci intorno con una punta di rammarico: adesso siamo servi inutili, come possiamo amarti Signore?