…Lo Spirito Santo porta l’esperienza delle fede dalla mente al cuore, dall’orecchio alle mani…
XXX Domenica del Tempo Ordinario
Commento di Simona Segoloni Ruta – Teologa
La liturgia di questa domenica continua a parlare della preghiera. Se la scorsa domenica ci aiutava a comprendere in che modo una preghiera autentica ci pone davanti a Dio e in che maniera si mescola con la concretezza della vita, questa domenica le letture ci svelano che, diversamente da come molte volte si pensa, una preghiera autentica dipende dalla relazione che abbiamo con gli altri. Essa non è dunque qualcosa che si risolve fra la persona e Dio, ma al contrario qualcosa che è del tutto condizionato dalla relazione con i fratelli e le sorelle. Se così non fosse la preghiera diventa la copertura per rassicurarci di quello che siamo e persino per giustificare devianze, anche terribili, o persino il male che facciamo agli altri, per i quali poi – senza rimediare in alcun modo al danno inferto – diciamo di pregare. La prova che davvero ci mettiamo davanti a Dio consiste nella giusta relazione con il fratello. Senza questa non si dà preghiera alcuna.
Gesù racconta la parabola di un fariseo che sale al tempio. Un uomo rispettoso della legge, un giusto quindi, ma anche un virtuoso perché digiuna due volte a settimana e paga la decima. Questo uomo ringrazia Dio per quello che è, facendo il confronto con l’altro al quale è ben contento di non assomigliare. “Grazie perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e nemmeno come questo pubblicano”. Sembra di vederlo voltarsi verso l’altro, persino indicarlo con un cenno del capo. Si percepisce il disprezzo che prova per il pubblicano e che gli permette di sentirsi migliore di lui.